Un’inchiesta dell’Unione Sarda fa luce sui servizi sanitari che la Regione affida ai medici venuti dal Nord, i quali guadagnano somme di gran lunga superiori a quelle percepite dai colleghi locali.
Due anestesisti e un ragioniere. Un motto come mantra: “L’ingegnosità trova soluzioni e risolve situazioni”. Vicenza non è dietro l’angolo, punta estrema della Padania dell’Est. Novecento chilometri dal San Camillo di Sorgono, cuore della Sardegna più interna. Eppure, anche in questa terra sanitariamente di nessuno, loro, i due anestesisti e il ragioniere, da Vicenza al Mandrolisai, ci sono arrivati. Per sbarcare in terra sarda si sono affidati alla loro MST Group, acronimo di Medical Support Team.
La società l’hanno fondata da tempo, ma in Sardegna stanno mettendo radici da qualche mese, da quando l’Ares Sardegna, l’Azienda regionale della salute, su mandato della Giunta regionale, ha deciso di “affittare” medici per tentare di tappare buchi ed emergenze. A gestire la “calata” padana in terra di Sardegna è solo per caso un’altra veneta, Annamaria Tomasella, dal primo gennaio del 2022 a capo della sanità sarda, dopo aver guidato nel passato, sempre per caso, l’Azienda sanitaria di Vicenza e quella dell’Alto Vicentino.
La loro ingegnosità, quella dei due anestesisti e del ragioniere, è semplice: mettiamo su una società, una modesta srl di provincia, e reclutiamo medici senza confini, stranieri e non solo, per coprire, privatamente, i buchi in organico di una sanità pubblica che ha fatto di tutto per creare voragini negli ospedali isolani. L’ingegno, in realtà, è un’operazione con molti zeri, quasi una slot machine sanitaria. Da queste parti, Regione e Ares, la soluzione “sanità in affitto” piace e non poco.
Con la scusa dichiarata che quella dei medici a noleggio è l’unica soluzione i camici bianchi senza frontiere si moltiplicano da Nord a Sud dell’isola. Molto spesso si tratta di medici stranieri, cubani e argentini soprattutto, con un italiano più che maccheronico, rendendo ardito il rapporto con pazienti e colleghi. La ragione sociale dei padani sbarcati in terra sarda è esplicita: lavoriamo con servizi in appalto, offrendo team di medici presso strutture sanitarie pubbliche.
Il promo che sfoggiano è da marketing Ikea: “Medici per servizi di emergenza-urgenza e primo soccorso, guardie mediche e anestesisti: specialisti nel fare la cosa giusta”. Non è dato sapere cosa sia la “cosa giusta”. Di certo per la società veneta è la “cosa” più conveniente. Un affare milionario, capace di moltiplicarsi giorno dopo giorno, come panacea di un sistema destinato a essere privatizzato. Il turnover sanitario, la sostituzione dei medici che vanno in pensione con i nuovi, continua a segnare un deficit strutturale che, se non si interverrà pesantemente sulla formazione, rischia di protrarsi oltre il 2030.
Dunque, una prateria per società e cooperative costituite con l’unico scopo di “affittare” medici di qua e di là. In Sardegna soprattutto, dove se si escludono le Asl di Cagliari e di Sassari, tutte le altre risultano investite da questo nuovo modello di reclutamento a “gettone”. E i signori venuti dalla Padania imperversano senza confini.
I contratti sardi con la MST Group sono un ginepraio che si rincorre dalle Asl più disparate all’Ares, un vero e proprio sbarco pianificato in ogni minimo dettaglio, con turni e mansioni, prestazioni e conti in banca di medici novelli da rimpinguare a gogò. Il capitolo ultimo di questi affidamenti rinnovati e prorogati, ampliati e moltiplicati è una gara d’appalto blindata da codici informatici da segreto di Stato. Per accedervi bisogna rivolgersi all’hacker di turno capace di estrapolare atti e documenti di una gara da mille e una notte.
Il messaggio promozionale dei veneti frana con l’incedere dei dati della gara d’appalto: vincono tutto quello che c’è da vincere. Tutto tranne i lotti uno, quattro e cinque, quelli che riguardano gli ospedali San Martino di Oristano, Mastino di Bosa e San Francesco di Nuoro. L’appalto è frazionato in lotti, a tal punto che la società veneta si può permettere di non partecipare a quei tre lotti dove era stata richiesta la copertura di tutti i codici di intervento in pronto soccorso.
La sintesi è semplice: la MST Group partecipa e vince tutti i lotti dove sono previsti solo medici capaci di trattare i codici bianco e verde. Nessun medico viene proposto per trattare i codici di soccorso più rilevanti, dall’arancione per l’urgenza indifferibile al rosso per l’emergenza con priorità assoluta. Uno smacco per quello slogan pubblicato nella home page dei padani sbarcati nell’Isola: “Fin dal suo esordio la mission aziendale è stata quella di erogare servizi medico infermieristici nell’ambito dell’urgenza ed emergenza di altissima competenza”.
Quell’altissima competenza sembra essersi persa nel tragitto tra Vicenza e la Sardegna. Addio a quella dichiarata “scrupolosa selezione del personale altamente qualificato” enunciata a chiare lettere nella presentazione che arditamente sovrasta il curriculum societario. La valanga di denaro incamerata dalla privatissima società veneta è tutta o quasi rivolta ai codici minori, ma pur sempre a carissimo prezzo. Come fossero sicuri di non avere concorrenti, i padani presentano offerte con un ribasso che va dall’uno al due percento, senza timore di alcuna concorrenza.
Per il lotto del San Martino di Oristano, per i soli codici minori, avevano a disposizione 468mila euro: si sono accontentati di portarne a casa 462mila, lasciando nelle casse della Regione nemmeno 6mila euro. Non sono stati più magnanimi al Delogu di Ghilarza: avevano a disposizione 655mila euro e hanno offerto di svolgere il presidio dei codici minori del pronto soccorso per 646mila euro, appena 9mila euro di sconto.
Il lotto del San Francesco di Nuoro prevedeva uno stanziamento di 655mila euro: si sono accontentati di 647mila euro, un altro sconto da elemosina di 8mila euro. Per il San Camillo di Sorgono potevano disporre di una cifra di 468mila euro e si sono accontentati di 462mila, uno “sforzo” al ribasso di 6mila euro. Al Sirai di Carbonia l’Ares aveva previsto di spendere 748mila euro: ne risparmierà appena 9mila.
A Iglesias per il Cto, previsti 468mila euro, con un ribasso di 6mila. A Lanusei, all’ospedale di Nostra Signora della Mercede, era prevista una spesa di 655mila euro, ne useranno “solo” 646mila. Olbia, con il Giovanni Paolo II, non era tra i lotti di gara, ma con l’utilizzo di una parte prevista dall’incremento della base d’asta ne spenderanno altri 483mila, sempre per medici utilizzabili solo per codici bianco e verde.
Tutte cifre che vanno quasi raddoppiate. Nel contratto, infatti, sono previste deroghe e proroghe. Sono previste un’opzione incremento fino a un quinto d’obbligo di un milione di euro e una proroga di quattro mesi per un altro milione e 691mila euro. Non poteva mancare un’opzione di incremento del 25% di estensione della fornitura nell’ipotesi (certa) in cui sorgessero ulteriori necessità non previste in altri presidi ospedalieri, un altro milione e 268mila euro. Il totale complessivo: 9 milioni di euro per i medici a “gettone”.
Infine le parcelle, quelle dei medici in affitto. Lo scrivono nel contratto d’appalto: per ogni medico la società padana riceverà dalla Regione sarda la bellezza di 75 euro all’ora per i “triage minori”, i verdi e i bianchi, e 85 euro per tutti i codici, compreso rosso e arancione. I turni indicati nell’affidamento sono di 12 ore, notturni e non solo. Significa che si andrà da 900 a oltre 1.000 euro al giorno. Probabilmente salteranno anche le domeniche. Ognuno di loro guadagnerà tra i 25 e i 30mila euro al mese. Alla faccia degli stipendi dei medici sardi, costretti a lavorare in trincea, giorno e notte.
Redazione Nurse Times
Fonte: L’Unione Sarda
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