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Rischio cardiovascolare maggiore per pazienti oncologici in terapia ormonale

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Rischio cardiovascolare maggiore per pazienti oncologici in terapia ormonale
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Lo sostiene l’American Heart Association, che suggerisce un monitoraggio specifico per pazienti con tumori al seno e alla prostata.

Secondo una dichiarazione scientifica dell’American Heart Association (AHA), pubblicata online su Circulation: Genomic and Precision Medicine, i pazienti sottoposti a terapia ormonale per tumori al seno e alla prostata possono essere a maggior rischio di malattie cardiovascolari (CVD) con l’avanzare dell’età e devono essere attentamente monitorati per potenziali eventi cardiovascolari (CV). Lo statement avverte che due o più fattori di rischio CV e la durata della terapia ormonale pongono i pazienti a maggior rischio.

“Sappiamo che esistono dati secondo cui la terapia ormonale per il cancro al seno e alla prostata aumenta il rischio di CVD ed eventi CV – afferma il team di scrittura della dichiarazione, presieduto da Tochi M. Okwuosa, direttore dei servizi di Cardio-oncologia presso il Rush University Medical Center di Chicago -. Ma non c’è mai stata una revisione completa di tali dati o raccomandazioni da parte di nessuna società né di alcun gruppo”.

Okwuosa e coautori fanno osservare che gli agenti ormonali vengono utilizzati per un periodo di tempo prolungato e che i medici dovrebbero pensare alle modifiche del fattore di rischio CV mentre i pazienti ricevono queste terapie. “Quindi questa dichiarazione riguarda davvero la creazione di consapevolezza dell’esistenza di questi problemi e del modo migliore per gestirli”, sottolineano.

Rilevanza specifica nel cancro al seno e alla prostata – Secondo le statistiche dell’American Cancer Society – sottolineano gli autori -, nel 2020 negli Stati Uniti è stato diagnosticato un cancro a circa 1,8 milioni di persone, il 5% delle quali è considerata a rischio di malattie cardiache. Con l’invecchiamento della popolazione statunitense e i miglioramenti nel trattamento oncologico, il numero di sopravvissuti al cancro sta aumentando (da circa 16,9 milioni nel 2019 a 22,1 milioni previsti entro il 2030).

“Con tale aumento del numero di sopravvissuti al cancro e un’elevata prevalenza di CVD tra i pazienti e i sopravvissuti al cancro, i medici devono essere altamente efficaci nel rilevare e prevenire gli esiti CV avversi in questa popolazione di pazienti”, scrive il team AHA che fa notare come ciò sia particolarmente importante nel caso dei tumori alla prostata e al seno, poiché le CVD sono diventate una delle principali cause di mortalità e morbilità tra i pazienti con questi tumori.

I trattamenti ormonali sono il pilastro del trattamento sia per i tumori sia al seno che alla prostata e includono modulatori selettivi del recettore degli estrogeni (come tamoxifene e raloxifene) e inibitori dell’aromatasi (come exemestane, anastrozolo e letrozolo) per il cancro al seno e terapia di deprivazione androgenica (ADT) per il cancro alla prostata. Mentre queste terapie migliorano la sopravvivenza, sono anche note per aumentare il rischio CV nei sopravvissuti.

Le evidenze fondamentali riportate nel documento – I risultati e le raccomandazioni della dichiarazione si basano sulle prove esistenti di studi controllati randomizzati e studi osservazionali, specificano Okwuosa e coautori. I risultati principali sono:

  • I pazienti con CVD esistente sono a maggior rischio di eventi CV con terapia ormonale.
  • Quelli con due o più fattori di rischio CV come ipertensione, ipercoslesterolemia, fumo o una storia familiare di ictus o malattie cardiache al momento del trattamento sono a maggior rischio di CVD o eventi CV.
  • Tamoxifene aumenta il rischio di eventi tromboembollici venosi, mentre gli inibitori dell’aromatasi aumentano il rischio di CVD ed eventi CV, incluso l’infarto del miocardio.
  • L’ADT può portare a cambiamenti metabolici come aumenti dei livelli di colesterolo e trigliceridi che sono associati a un maggiore rischio di CVD ed eventi CV, anche se gli autori di AHA hanno determinato che gli antagonisti dell’ormone di rilascio della gonadotropina (GnRH) – come degarelix e abarelix – sono associati a un minor rischio di eventi CV rispetto agli agonisti GnRH.

Inoltre gli autori hanno scoperto che una durata più lunga della terapia ormonale può influenzare il rischio di CVD di un paziente. “Nel complesso, l’evidenza suggerisce che i pazienti con cancro al seno e alla prostata hanno maggiori probabilità di sviluppare fattori di rischio modificabili e non modificabili che possono peggiorare con una durata maggiore della terapia ormonale”, scrivono gli esperti AHA.

Le raccomandazioni per la pratica clinica – “È quindi importante identificare i pazienti che ricevono una terapia ormonale ad alto rischio di complicanze CV a causa di fattori di rischio CV incontrollati preesistenti o di una storia di CVD – si afferma nel documento -. Questi pazienti devono quindi ricevere un attento monitoraggio e trattamento per i fattori di rischio CV e le CVD”.

“I medici devono incorporare un approccio basato sul team per la gestione di questi pazienti – sostengono Okwuosa e colleghi -. Devono essere coinvolti il medico di medicina generale, il cardiologo, a seconda del numero dei fattori di rischio CV e se il paziente aveva CVD di base e, naturalmente, l’oncologo che sta somministrando quei farmaci ai pazienti”.

Per quanto riguarda ulteriori ricerche in questo settore, Okwuosa e coautori affermano che sono necessari studi randomizzati che valutino le terapie ormonali con esiti CV quali CVD e ictus come endpoint. È inoltre necessaria, aggiungono, una maggiore ricerca sulle disparità nelle cure tra i pazienti con cancro al seno e alla prostata sottoposti a terapia ormonale.

Redazione Nurse Times

Fonte: PharmaStar

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