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Rimini, morì in ospedale per una caduta dal letto: caso chiuso per prescrizione

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Rimini, morì in ospedale per una caduta dal letto: caso chiuso per prescrizione
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Sette anni dopo il decesso del 69enne Giuseppe Simoncelli, il processo si è concluso senza colpevoli né innocenti. Alla sbarra c’erano un medico e un infermiere.

La giustizia arriva tardi e il giudice è costretto a dichiarare prescritto un omicidio colposo. A oltre sei anni dall’inizio del processo e a sette anni e mezzo dal decesso, non ci sono né colpevoli né innocenti. I fatti risalgono al 13 agosto del 2011. Giuseppe Simoncelli, 69 anni, pensionato di Cattolica, si trovava alla clinica privata Sol et Salus di Rimini per la riabilitazione, dopo un aneurisma all’aorta. Le sue condizioni erano in via di miglioramento, ma quella mattina all’uomo si era spostato il sondino con cui veniva alimentato, ed era stato portato al Pronto soccorso dell’ospedale Infermi (foto), dove glielo avrebbero ripristinato e dove sarebbe stato sottoposto anche ad alcuni accertamenti di routine.

Arrivato al triage, la prima cosa che i sanitari avevano fatto era stata quella di sistemane il sondino e, secondo la testimonianza della dottoressa, l’anziano non presentava alcun segno di agitazione. L’uomo era stato poi messo su una barella con le sponde e sistemato in Osservazione, da dove sarebbe stato poi portato in Radiologia. Tornato in stanza, era stata un’altra paziente, poco dopo, ad avvertire il personale che il paziente si era strappato il sondino. L’infermiere era tornato allora a sistemarglielo, ma poi sia lui che il medico erano dovuti correre via per l’arrivo di altri malati gravi.

Simoncelli, nel frattempo, era stato dimesso ed era pronto per essere riportato alla Sol et Salus. Bisognava solo attendere che arrivasse l’ambulanza. Ma quando erano andati a prenderlo, l’avevano trovato riverso a terra: in qualche modo era riuscito a scavalcare le sponde. I medici si erano subito resi conto che le sue condizioni erano gravi: nella caduta l’anziano aveva battuto la testa sul pavimento e, nonostante i soccorsi immediati, era entrato in coma. Non si era più svegliato, la mattina dopo era morto. I famigliari, sconvolti, erano andati dritti in Procura per fare un esposto, chiedendo alla magistratura di accertare se ci fossero responsabilità da parte del personale sanitario. Il procuratore aveva disposto l’autopsia e il sequestro delle cartelle cliniche, aprendo un fascicolo per omicidio colposo a carico di ignoti.

L’esame autoptico aveva confermato la prima ipotesi: Simoncelli era morto per una devastante emorragia cerebrale, provocata dal violento impatto della testa contro il pavimento. Nel registro degli indagati erano finiti a quel punto la dottoressa e l’infermiere che avevano preso in carico il paziente. I due avevano ricostruito le ore precedenti alla tragedia, insistendo sul fatto che l’uomo non era affatto agitato e che quindi non necessitava di una sorveglianza speciale. Contrariamente a quanto invece ha sempre sostenuto il pubblico ministero, e cioè che avevano sottovalutato lo stato di agitazione cronica del paziente e non avevano messo in atto alcun tipo di contenimento.

Al termine delle indagini l’accusa aveva chiesto e ottenuto il rinvio a giudizio di medico e infermiere, con l’accusa di omicidio colposo per negligenza e imprudenza. La prima udienza del processo si è svolta il 1° aprile del 2013, e da quel momento si sono succeduti nel tempo almeno quattro giudici, per motivi legati soprattutto al loro trasferimento ad altra sede. Ogni volta, così come prevede la legge, sono stati risentiti tutti o quasi tutti i testimoni. Col risultato che, di rinvio in rinvio, sono passati i sette anni e mezzo previsti perché, per il reato in questione, intervenga la prescrizione. Dichiarata dal giudice ieri pomeriggio.

Redazione Nurse Times

Fonte: il Resto del Carlino

 

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