Alla redazione del Gazzettino arrivano diverse segnalazioni di pazienti che lamentano la superficialità delle visite dopo i traumi subiti.
Si susseguono le segnalazioni dei casi di malasanità nella zona di Pordenone. A raccoglierle è la redazione del Gazzettino, precisando come le persone che hanno avuto un problema sanitario, leggendo vicende simili di altri pazienti, abbiano deciso di uscire allo scoperto, anche se non nell’immediatezza dei fatti, per denunciare quanto accaduto loro. Di seguito gli ultimi tre casi di diagnosi errate, legate a traumi riscontrati al Pronto soccorso ortopedico.
Il primo caso – «Alcuni mesi fa – racconta N.L., una donna residente nel Pordenonese – sono rimasta coinvolta in un incidente stradale in cui il mio scooter si era scontrato contro un’auto. Io ero in sella al due ruote. Sono stata trasportata al Pronto soccorso di Pordenone in codice arancione. Mi hanno visitata e, nonostante lamentassi forti dolori al polpaccio e alla caviglia, mi hanno parcheggiata in corridoio, dicendomi che dovevo fare i raggi. Attendo circa due ore, poi mi portano in un stanzino e il medico mi dice che posso essere dimessa. Ho subito chiesto: e i raggi? Lapidaria la risposta: “Signora noi siamo qui. Se ha bisogno, ritorni”».
Prosegue N.L.: «Trascorro quattro giorni con antinfiammatori, ma i dolori non passano e non riesco neppure a camminare. A quel punto chiamo il mio medico, che mi invita ad andare subito al Pronto soccorso. Al Triage spiego l’accaduto e in mezz’ora mi visitano, e poi vengono eseguite le lastre che non mi avevano fatto il giorno dell’incidente. L’esito è sconcertante: frattura composta della testa del perone. Siccome ritengo di essere una persona corretta, non ho postato il fatto vergognoso su Facebook, ma ho inviato una mail al presidente della Regione, Fedriga, e alla direzione dell’Asfo. L’esito della mia mail? Il presidente ha scaricato il caso sull’assessore alla Sanità, mentre l’Asfo ha aperto un’indagine interna. Dopo un mese mi arriva l’esito dell’indagine: “Il medico non ha ritenuto di eseguire Rx, pertanto si consiglia follow up con il medico di medicina generale per ridurre al minimo i possibili effetti di una mancata diagnosi”. Resto allibita. Ovviamente ho tutte le carte in mano. Ora, visto che stanno venendo a galla altri episodi gravi, non potevo stare in silenzio e così ho aggiunto la mia segnalazione».
Il secondo caso – «Anche a me, al Pronto soccorso di Pordenone, il medico di turno aveva diagnosticato una contusione guaribile in dieci giorni dopo una caduta con gli sci. Invece avevo cinque fratture composte al bacino e ben tre si sono scomposte perché, pensando di avere “solo” una contusione, mi sono ovviamente mossa». A parlare è una donna di Roma, E.D.Z., che era in Friuli a trovare i consuoceri. Il fatto è datato 2018. Segno che le diagnosi sbagliate vanno avanti da tempo.
«Sono caduta a Piancavallo, mentre ero a sciare e sono stata portata all’ospedale pordenonese in ambulanza – continua E.D.Z. -. A me le lastre le hanno fatte, ma il medico che le ha lette non ha visto le cinque fratture, due all’osso sacro, tre al bacino. Dopo dieci giorni di dolori atroci – ero già rientrata a Roma -, sono andata all’ospedale, dove mi hanno fatto gli accertamenti. Le fratture, visto che ho camminato e mi sono mossa, si erano intanto scomposte e ora ho una vera e propria menomazione. Non possono più guarire e mi fanno sempre male. Sono anche andata all’ospedale di Pordenone per far presente la faccenda, ma mi sono trovata davanti un muro. Ovviamente ho conservato il cd con le radiografie fatte a Pordenone, dove si vedono le fratture. E ho la diagnosi cartacea: contusione».
Il terzo caso – A scrivere C.D.A., figlio di un’anziana pordenonese di 83 anni. «Due anni fa – racconta – ho portato mia madre al Pronto soccorso di Pordenone su consiglio del 112, che mi ha inviato una ambulanza. Mia mamma era rimasta bloccata a letto e soffriva di forti dolori alla schiena. Neppure gli antidolorifici somministrati dal medico di base le davano sollievo. Arrivata al Pronto soccorso in ambulanza, è stata tenuta tre ore sulla barella, senza essere visitata, e poi volevano mandarla a casa con una Tachipirina. Dopo aver insistito che cosi non potevo riportarla a casa perché non stava in piedi, le hanno somministrato un antidolorifico più potente e la prescrizione per una visita di terapia del dolore. Portata dopo alcuni giorni al Cro per la terapia del dolore, le viene prescritta una risonanza alla schiena per capire il motivo del male. La risonanza l’abbiamo fatta in forma privata per averla prima e la diagnosi è stata: frattura della vertebra D12 con conseguente crollo vertebrale. E pensare che al Pronto soccorso di Pordenone non le è stata fatta nemmeno una radiografia: è stata rispedita a casa con un antidolorifico».
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Gazzettino
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