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Playcast, il gesso ortopedico funzionale stampabile in 3D, sperimentato a Padova

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Al via la sperimentazione negli ospedali della provincia di Padova del tutore realizzato con stampa 3D. In futuro sarà dotato di sensori in grado di monitorare il corpo e fare telemedicina.

Il gesso ortopedico, brevettato nel lontano 1851, e rimasto pressoché invariato da allora, potrebbe andare definitivamente in pensione.

L’idea della startup padovana Playcast, è stata quella di realizzare un gesso stampato in 3D in grado di risolvere molti problemi conseguenti all’ingessatura tradizionale.

Jacopo Lazzaro, uno dei principali ideatori di questo dispositivo, è stato intervistato poco dopo la presentazione avvenuta al Viva Technology di Parigi.

Da dove nasce l’idea per PlayCast?

“Uno dei tre fondatori, Davide Ranaldo, è un chirurgo ortopedico. Quotidianamente sente lamentele di pazienti che non possono lavarsi per il gesso, che soffrono di prurito o addirittura allergie, che non lascia traspirare la pelle, e altre problematiche di questo genere. A partire da questa problema ci siamo incontrati, io ho messo in campo le mie competenze in ambito di scansione e stampa 3D, lui le sue competenze mediche, e insieme abbiamo progettato un gesso ortopedico funzionale stampabile in 3D, PlayCast“.

Da quanto state lavorando al prodotto?

“Il progetto ha ora tre anni. Non siamo certamente stati i primi ad avere l’idea di un gesso stampato in 3D, ma le alternative non erano molto concrete, o non potevano essere applicate nella vita reale. Abbiamo lavorato per due anni sulla ricerca e lo sviluppo del prodotto per risolvere i problemi tecnici, e a febbraio 2018 abbiamo finalmente costituito una startup. In questi ultimi mesi siamo stati accompagnati da StartCube, l’incubatore dell’università di Padova, che ci ha permesso di accedere a un network di conoscenze e supporto virtuale. Stiamo cercando ora il primo round di finanziamento per entrare sul mercato”.

Quali sono i problemi che avete dovuto affrontare per rendere Playcast un progetto realistico?

“Innanzitutto la scansione per creare il gesso su misura. Pensando a un bambino con un polso rotto, anche chiedergli di stare fermo 30 secondi per riuscire a fare una scansione coi metodi tradizionali è impraticabile nel mondo reale. Abbiamo quindi sviluppato uno scanner che è quasi istantaneo, scatta delle foto e da queste ricava il modello 3D da stampare. Lo scanner è anche modulare, il che permette di modellare gessi per dita, polso, braccia o anche un corpo intero senza problema di dimensioni, basta aggiungere dei moduli.

Un secondo problema è la stampa. Da subito abbiamo puntato a realizzare modelli 3D compatibili con qualsiasi stampante attualmente presente sul mercato. Il settore ha appena superato l’artigianalità, e ha ancora alcuni limiti per applicazioni che vorremmo.

Primo tra tutti il tempo di stampa: ci vogliono ore per ottenere un PlayCast. Avere la massima compatibilità permette di distribuire la stampa e avere un prodotto che può arrivare già subito sul mercato. Anche se non nascondo che vorremmo sviluppare una stampante 3D che risponde alle nostre esigenze particolari. Il materiale che usiamo è Pla, una bioplastica che deriva da fibre vegetali, che non dà problemi di allergie ed è biodegradabile e compostabile, a un prezzo vantaggioso“.

Vantaggioso rispetto ad un gesso tradizionale? Quanto costerebbe all’ospedale?

“PlayCast è sensibilmente più economico rispetto al gesso tradizionale. Innanzitutto il Pla come materiale ha costi molto contenuti. Le macchine (scanner e stampante 3D), con la loro estrema precisione, realizzano PlayCast senza bisogno di personale altamente qualificato, come i gessisti, difficile anche da reperire al giorno d’oggi. E il fatto che PlayCast sia fatto su misura con una stampante 3D riduce le problematiche (intorpidimenti, cedimenti, disturbi da gesso, etc) che portano a un riaccesso alla struttura, con i conseguenti costi.

I prezzi li discutiamo in fase di trattativa con il possibile cliente, anche a seconda dei servizi a cui è interessato e delle dimensioni del centro. Si tratta in ogni caso di vendita/noleggio dello scanner, licenza software annuale e servizio stampa e/o vendita, con formazione per il personale, della stampante 3D e materiali”.

Ma il gesso funziona bene quanto quello tradizionale? Cosa tiene insieme la plastica?

“Dal punto di vista della certificazione, PlayCast è un tutore fatto su misura, per cui si certificano i materiali, non la fasciatura in sé, proprio come per il gesso tradizionale. Per quanto per ora siano limitati, abbiamo fatto dei test su pazienti dai 4 ai 60 anni, con fratture, tendinopatie e per trattamenti post-chirurgici, e finora sono andati anche meglio del gesso tradizionale. Stiamo collaborando con diverse enti in Veneto per avere un test clinico più ampio entro la fine dell’anno, e stiamo a preparando una pubblicazione scientifica per riuscire a far entrare il prodotto anche nel mondo della ricerca accademica”.

Abbiamo un sistema di chiusura brevettato. È difficile con questi gessi di plastica capire se il trattamento è stato integro dall’inizio alla fine, perché chiaramente deve essere stampato in due o più gusci che devono essere chiusi e tenuti insieme fra loro. A quel punto c’è un problema medico-legale. Per essere sicuri che un trattamento sia stato completo abbiamo sviluppato questa chiusura che tiene saldo il guscio e assicura che se il PlayCast si apre o viene manomesso io posso accorgermene, che è importante anche per tutta una serie di questioni assicurative”.

Com’è per ora la risposta del mercato?

“Siamo stati molto fortunati partecipando al Viva Technology, abbiamo stretto la mano al presidente francese Emmanuel Macron e abbiamo avuto contatti con investitori importanti, sia italiani che internazionali, che erano alla ricerca di startup interessanti. Lo scanner è pronto in versione definitiva, e da qui a fine anno inizieremo una sperimentazione in vari centri del Padovano e del Veneto.

Vorremmo essere sul mercato a tutti gli effetti dall’anno prossimo. Ai grandi centri ospedalieri forniamo scanner, licenza software e formazione del personale di modo che possano gestire la stampa 3D in loco, mentre per centri più piccoli abbiamo anche la possibilità di stampare e consegnare il PlayCast su misura già pronto sulla base della scansione. Siamo diventati startup solo nel 2018, ma puntiamo raggiungere il break-even nel 2019″.

E da un punto di vista di ricerca e sviluppo, quale sarà il prossimo passo?

“Nel prossimo futuro lo sviluppo a cui vogliamo arrivare a stampare aggiungendo materiale conduttivo e sensori che possano comunicare con uno smartphone e fare telemedicina. Un esempio pratico, tanto per capire. Nel caso di un incidente d’auto possono capitare fratture associate a una bruciatura. In questi casi, utilizzare un gesso tradizionale è quasi impossibile, perché ingessare e stringere non solo fa male al paziente, ma impedisce di trattare la bruciatura. Con PlayCast potremmo avere un gesso che non solo traspira, ma ha integrato nella stampa un sensore che rilevi la temperatura della pelle. Se il sensore rileva un aumento della temperatura significa che c’è un’infiammazione in corso, e può vibrare rilasciando un antinfiammatorio già addizionato nella plastica. Sarebbe un gesso che si prende cura della frattura, ma anche altri aspetti. Abbiamo brevettato già questo concetto, ed è la direzione che vorremmo prendere nel futuro”.


Solo il tempo ci dirà se questa invenzione sarà in grado di mandare definitivamente in pensione il tradizionale gesso, dopo quasi 200 anni di storia.

Simone Gussoni

Fonte: Wired

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