Sospesa dal lavoro e dallo stipendio perché rifiuta di vaccinarsi contro il Covid, fa ricorso contro il provvedimento ma il giudice del lavoro glielo respinge, giudicando la misura “adeguata e proporzionata“.
La vicenda è accaduta a Terni: protagonista un’operatrice socio-sanitaria (Oss), dipendente della cooperativa sociale Actl New. La donna, addetta all’assistenza di anziani non autosufficienti, il 19 febbraio scorso ha negato il consenso informato alla somministrazione del vaccino, dicendosi contraria ad un trattamento sanitario – sosteneva – ancora di natura sperimentale, senza prima conoscerne effetti e possibili controindicazioni. Il medico aziendale aveva quindi sancito l’inidoneità della lavoratrice a svolgere le proprie funzioni, con la cooperativa che – di conseguenza – l’aveva sospesa dal lavoro e dalla retribuzione per due anni (provvedimento poi ridotto dalla Usl Umbria 2 fino al 31 dicembre 2021).
Nel dispositivo pronunciato lo scorso 1° luglio, il giudice del lavoro di Terni Michela Francorsi aveva rigettato il ricorso presentato dalla donna, compensando le spese di lite. Nelle motivazioni appena depositate, il magistrato argomenta che “il prestatore di lavoro, nello svolgimento della prestazione lavorativa, è tenuto non solo a mettere a disposizione le proprie energie lavorative, ma anche ad osservare precisi doveri di cura e sicurezza per la tutela dell’integrità psico-fisica propria e di tutti i soggetti terzi con cui entra in contatto. […] Allo stesso modo è imposto al lavoratore l’obbligo di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni od omissioni, nonché quello di osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro e di utilizzare i dispositivi di protezione messi a disposizione”.
“Il contegno omissivo serbato dalla ricorrente (la Oss, ndr) – prosegue – certamente non rimproverabile a livello soggettivo, ha tuttavia inciso in maniera oggettiva, sopravvenuta e significativa sul sinallagma, rendendo di fatto impossibile la fruizione della prestazione da parte della convenuta (la cooperativa, ndr) che ha visto frustrato il proprio interesse individuale (così come obiettivizzato nel contratto di lavoro) e che quindi si è legittimamente risolta nel sospendere temporaneamente il rapporto di lavoro, fino a completa vaccinazione. Tale determinazione, che appare scevra da ogni giudizio sui convincimenti personali della lavoratrice, si ritiene adeguata e proporzionata nella misura in cui non elide istantaneamente e in via irrecuperabile il rapporto ma si limita temporaneamente a sospendere l’efficacia del rapporto”.
Fonte: ilfattoquotidiano
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