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Oncologia: la rivoluzione delle nuove terapie

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Oncologia: la rivoluzione delle nuove terapie
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Vaccini mRNA, immunoterapia, CAR, radioterapia di precisione, companion test e Molecular Tumor Board: se ne è parlato durante la due giorni di “ONCOnnection 2022 – Disruptive innovation in oncologia”.

Tanti e interessanti gli argomenti trattati durante la straordinaria edizione di “ONCOnnection 2022 – Disruptive innovation in oncologia”, organizzata da Motore Sanità. Oggi il cancro viene affrontato attraverso armi affilate e in grado di fare ottenere risultati mai ottenuti prima, grazie ai passi della ricerca scientifica: vaccini mRNA contro il cancro, immunoterapia, CAR, radioterapia di precisione, companion test e Molecular Tumor Board. Ma si pone l’interrogativo: come l’organizzazione dell’oncologia possa stare al passo con una rivoluzionaria innovazione che tocca gli ambiti clinici della ricerca e le nuove terapie per sconfiggere la malattia.

Di vaccini mRNA contro il cancro ha parlato Ranieri Guerra, direttore Relazioni internazionali all’Accademia Nazionale di Medicina: “La tecnologia mRNA permette un tipo di personalizzazione nella lotta al cancro prima impensabile, con il sequenziamento delle cellule oncologiche e lo sviluppo di vaccini terapeutici altamente specifici contro il melanoma e altri cancri letali, al pancreas, al retto-colon, all’ovaio, al polmone. Sarà questo il prossimo futuro della lotta al cancro, basata su piattaforme generiche specializzabili contro ciascuna variante tumorale, così come abbiamo imparato a fare per il SARS-CoV-2 e le sue varianti? E che cosa quel 5-10% di popolazione con forte radicamento no-vax potrà pensare di una tecnologia che secondo loro modifica l’essere umano, e non la degenerazione cellulare e tissutale che lo porta spesso alla morte precoce e, in prospettiva, prevenibile? Con almeno 630 trial clinici in corso in fase 2 e 3 di cui circa la metà completati, la ricerca ci offre speranze concrete, anche se forse non immediate e con la necessità di investimenti rilevanti e l’ausilio sempre maggiore di algoritmi perfezionati e più sofisticati rispetto al recente passato”.

Sul ruolo dell’immunoterapia è intervenuto Michele Maio, responsabile UOC Immunoterapia oncologica all’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese. In particolare, ha portato l’esempio nel melanoma e nell’ovaio: “Grazie al trattamento immunoterapico la sopravvivenza dei pazienti affetti da melanoma metastatico è superiore al 50%, e in molti casi senza terapie ulteriori, a circa sette anni dalla diagnosi. Nell’ultimo anno abbiamo anche ottenuto la dimostrazione, grazie a tre sperimentazioni cliniche indipendenti sviluppare contestualmente negli Stati Uniti ed in Australia, e in Europa dalla Fondazione NIBIT con uno studio multicentrico coordinato dalla professoressa Anna Maria Di Giacomo dell’Oncologia di Siena, che grazie a combinazioni di farmaci immunoterapici la percentuale di pazienti affetti da metastasi cerebrali asintomatiche da melanoma a cinque anni dall’inizio del trattamento è di circa il 50%, mentre in questi stessi pazienti la sopravvivenza con la chemioterapia era di soli pochi mesi. Abbiamo anche risultati importanti e ormai consolidati che dimostrano l’efficacia del trattamento immunoterapico anche nelle fasi più iniziali della malattia. Non possiamo ancora dire lo stesso per i tumori ovarici in cui l’immunoterapia non ha ancora dimostrato un’efficacia particolarmente significativa, e per questa ragione vi sono sperimentazioni cliniche attive che ne stanno studiando il potenziale vantaggio in sottogruppi di pazienti con precise caratteristiche biomolecolari di malattia, nonché anche in combinazione con la chemioterapia”.

Le CAR-T, quindi nuovi farmaci, i centri specializzati e il personale dedicato sono stati al centro dell’incontro. Le CAR nel mieloma multiplo sono state affrontate da Fabrizio Pane, professore Malattie del sangue Facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università Federico II Napoli: “Il mieloma multiplo è una malattia neoplastica molto aggressiva. Si stimano circa 30mila persone affette in Italia, in vari stadi di trattamento. Con l’approvazione di nuove classi di farmaci, ci sono pazienti che hanno ricevuto combinazioni con farmaci diversi. Sempre più ci troviamo di fronte a recidive di pazienti che non hanno più la capacità di rispondere alle combinazioni di farmaci sul mercato”.

Nicola Di Renzo, coordinatore della Rete ematologica pugliese (REP), ha portato l’esperienza delle CAR in Puglia: “In Puglia la regione aveva individuato solo il centro di Taranto per le CAR-T. Abbiamo fatto di necessità virtù. Avere un solo centro a disposizione non poteva soddisfare tutti i potenziali pazienti. L’alternativa era andare fuori regione. D’accordo con il Dipartimento salute, abbiamo quindi deciso di ampliare questa disponibilità, che sarà soddisfatta entro l’anno. Altro problema è quello del personale: ci vorrà personale dedicato in ciascun Centro”.

Il tema della radioterapia di precisione è stato affrontato da Roberto Orecchia, direttore scientifico IEO: “La radioterapia italiana è in continua evoluzione. Anche nell’anno del Covid, il 2020, l’attività è stata costante. In una indagine a cura della Associazione Italiana di Radioterapia condotta in oltre 100 centri, con oltre 100.000 pazienti trattati, è emerso che la radioterapia è stata la terapia di scelta ed esclusiva per oltre 15.000 pazienti, dei quali il 50% erano tumori della prostata, sostituendosi alla chirurgia. Le nuove tecnologie sono sempre di più utilizzate, e consentono trattamenti selettivi e circoscritti. Accanto agli oltre 430 acceleratori lineari operativi, sono sempre più disponibili apparecchiature speciali, quali quelle per radiochirurgia, oltre 20 nel nostro Paese. Accanto ai progressi nelle tecniche, si sta imponendo un nuovo concetto, quello della Radioterapia di Precisione e Personalizzata, che tiene conto della biologia, a partire dai marker genomici alle indagini di diagnostica per immagini che grazie a nuovi traccianti e sequenze multiparametriche, sono in grado di caratterizzare sempre di più i profili molecolari non solo della malattia, ma anche del paziente”.

Lorenzo Livi, direttore Radioterapia all’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi ha così puntualizzato: “La radioterapia ormai è diventata un farmaco. Quello che manca è forse un’integrazione con l’oncologia medica. Questo è un limite che le nostre due professionalità devono superare. È ora di disegnare il futuro. C’è bisogno di coinvolgere tutte una rete e tutto un territorio”.

Così Barbara Alicja Jereczek, direttore Radioterapia all’Istituto Europeo di Oncologia Milano: “Stiamo assistendo a scenari nuovi, dove la radioterapia ha enormi potenzialità. Va vista come una linea in più a disposizione dei nostri pazienti con malattia avanzata”.

Sulla realtà attuale e futura dei companion test è intervenuto Mario Airoldi, direttore S.C. Oncologia Medica 2 alla Città della Salute e della Scienza di Torino: “Un companion diagnostic (CD) è quasi sempre un test in vitro che fornisce informazioni che sono fondamentali per garantire sicurezza ed efficacia di un farmaco. Il CD può identificare: 1) i pazienti che maggiormente si giovano di un farmaco; 2) i pazienti a maggior rischio di eventi tossici; 3) un sistema di monitorizzazione delle risposte al trattamento con l’obiettivo di massimizzare le risposte riducendo gli eventi tossici severi. Il CD può essere sviluppato in qualunque momento della valutazione preliminare di un farmaco ma una volta identificato deve essere inserito nei trials clinici con indicazione di un chiaro cut-off. L’evoluzione che porta a disegnare un farmaco sulla scorta delle alterazioni genetiche privilegia le tecnologie NGS come base per indicare CD dei nuovi farmaci. Questa evoluzione determina anche la necessità di poter disporre di laboratori ad elevata tecnologia e con adeguata certificazione al fine di garantire la qualità del CD stesso”.

Nell’era della precision medicine, la teragnostica è uno dei concetti più innovativi. Sui possibili sviluppi e sulla necessità di un approccio multidisciplinare ha parlato Andrea Isidori, professore ordinario di Endocrinologia all’Università La Sapienza di Roma, che ha portato l’esperienza della Unit multidisciplinare NETTARE (NeuroEndocrine Tumor Task foRcE) della AOU Policlinico Umberto I – Sapienza: “Lo specialista deve selezionare in maniera accurata i pazienti che possano beneficiare di uno specifico trattamento, attraverso una stretta e fondamentale interazione multidisciplinare, in base alle caratteristiche cliniche, biochimiche, isto-patologiche e all’imaging avanzato. Questo l’obiettivo della Unit Multidisciplinare NETTARE (NeuroEndocrine Tumor Task foRcE) della AOU Policlinico Umberto I – Sapienza, che ho l’onore di coordinare ormai da sei anni”.

Con il suo gruppo di lavoro composto dai più esperti specialisti di ogni branca coinvolta nella gestione integrata di questa patologia, il professor Isidori si occupa attraverso un PDTA aziendale, di fare neo-diagnosi in oltre 200 pazienti affetti da neoplasia Neuroendocrina (NEN). Patologia una volta considerata rara, per il suo andamento subdolo, difficile da diagnosticare e trattare, ma che oggi anche grazie alla teragnostica si è sempre più in grado di affrontare con successo.

“Dei nostri pazienti affetti da NEN – afferma Isidori –, in linea con l’epidemiologia nota in letteratura, circa il 50% presenta localizzazione gastro-enteropancreatica, molto spesso già metastatica. La maggior parte dei nostri pazienti sono trattati con terapia medica. Nei casi non candidati a terapia medica target, e non operabili, vi è indicazione ad identificare una terapia su misura e, in quanto Centro Prescrittore, grazie alla proficua collaborazione con la Medicina Nucleare dell’Ospedale Santa Maria Goretti di Latina, siamo in grado di trattare con terapia Radio-Recettoriale tali pazienti, sia con indicazione neo-adiuvante che terapeutica. Lo specialista deve quindi caratterizzare il paziente avvalendosi della gestione integrata multidisciplinare con gli altri specialisti coinvolti e identificandolo come singolo e non più come appartenente a una categoria, così da rendere la teragnostica un’arma sempre più attuale e attuabile”.

Il ruolo della biopsia liquida nella diagnosi e terapia dei sarcomi è stato affrontato da Alessandro Comandone, direttore Dipartimento Oncologia dell’ASL Città di Torino: “Il ruolo dell’analisi molecolare in un tipo specifico di sarcoma del tratto gastroenterico chiamato GIST è riconosciuto da più di 20 anni. Le mutazioni genetiche di KIT e PDGRFA sono alla base della trasformazione della cellula normale dell’intestino in cellula tumorale di GIST. La definizione della mutazione è fondamentale nella diagnosi, nella definizione della prognosi, per pianificare la terapia con farmaco a bersaglio molecolare (Imatinib, Sunitinib, Regorafenib, Avapritinib, Ripretinib), valutarne l’efficacia, diagnosticare l’insorgenza di resistenze primarie o secondarie e passare ad altra terapia. Prima della disponibilità della biopsia liquida tutti questi passaggi erano definiti da analisi di tessuto con prelievo chirurgico o bioptico del GIST e grave disagio del malato che doveva sottoporsi a ripetute indagini invasive. Con l’avvento della biopsia liquida, l’analisi, che va comunque condotta in laboratori di riferimento, può essere ripetuta partendo da un semplice esame del sangue – Comandone – La tecnica richiede ancora un affinamento, ma è già disponibile e offre sensibili vantaggi. Al momento la sua specificità è del 70%, ma con il miglioramento delle tecnologie l’efficacia migliorerà ulteriormente. Purtroppo gli altri tipi di sarcomi non sono caratterizzati da mutazioni esclusive e la biopsia liquida non offre pari garanzie di successo almeno per il momento”.

Quale sarà il futuro degli screening? Estensione e adesione sono parametri fondamentali per valutare i programmi di screening, avendo un effetto diretto sulla loro sostenibilità e soprattutto sulla loro efficienza in termini di riduzione della mortalità. Ha portato la sua esperienza Francesca Caumo, direttore UOC Radiologia Senologica dell’IOV: “L’estensione dipende dalla popolazione che si riesce ad invitare e dagli inviti che per qualche motivo rimangono inesitati e valuta in quale misura gli screening rappresentino un elemento di equità di accesso. Nuove strategie di invito e soprattutto una fattiva ed efficiente integrazione tra il software screening con altri applicativi devono essere messe in atto per potenziare l’estensione dei programmi carente soprattutto nel Sud Italia e Isole. L’adesione dipende dalla popolazione che si riesce a invitare e soprattutto da quanti accettano di venire. Sull’adesione le nuove tecnologie (test di screening più efficaci, Intelligenza artificiale per l’ottimizzazione del primo livello) ed i nuovi assetti organizzativi (percorsi personalizzati e differenziati in base al rischio) potranno in futuro avere grosso impatto”.

Redazione Nurse Times

Fonte: Insalutenews.it

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