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Nursing Up: “In Lombardia arrivano i primi infermieri dall’America Latina, ma tanti italiani vanno all’estero”

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Nursing Up: "In Lombardia arrivano i primi infermieri dall'America Latina, ma tanti italiani vanno all'estero"
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Riceviamo e pubblichiamo un comunicato a cura di Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato Nursing Up.

L’assessore al Welfare della Regione Lombardia, Guido Bertolaso, lo aveva promesso, e alla fine così è stato. Stanno cominciando ad arrivare sul territorio gli annunciati infermieri dall’America Latina. Ci risulta che negli ultimi giorni già una decina abbiano preso servizio nella provincia di Como. Arrivano da lontano: da Perù, Argentina, Bolivia.

Per molti di loro, al primo lavoro in Europa, è la realizzazione di un sogno. Come potrebbe essere altrimenti? Un primo contingente sarebbe già operativo al Valduce di Como. Obiettivo? Chiaramente tappare le falle del nostro personale. Le aziende sanitarie offrono loro un contratto di sei mesi con possibilità poi di assunzione a tempo indeterminato.

La Regione ha assunto il personale attraverso agenzie interinali, che hanno fatto da mediazione. Per tutti loro è un salto di qualità immenso, rispetto a realtà che pagano male, anche con mesi di ritardo e addirittura non offrono coperture pensionistiche nei Paesi di origine. Ai cronisti locali raccontano di avere famiglia, figli, fratelli e sorelle a cui badare e che per loro questa svolta non è solo professionale, ma rappresenta una scelta di vita fondamentale per sostenere economicamente i propri cari rimasti in America Latina.

Ma per la sanità italiana tutto questo è davvero un vantaggio? Abbiamo il dovere di chiedercelo! E’ davvero quello di cui avevamo bisogno? Serve proprio questo, per arginare la grave emorragia di colleghi che ogni giorno decidono di lasciare l’Italia verso Paesi che invece li riconoscono e valorizzano adeguatamente? Insomma, è evidente che per quanti infermieri la politica potrà far arrivare dagli altri Paesi, questi saranno sempre troppo pochi e non in grado di compensare i vuoti e le carenze lasciate dai colleghi italiani costretti a emigrare.

Ma vi è di più, perché a noi risulta che, al momento, questi professionisti non abbiano frequentato alcun corso di italiano, tanto meno un percorso di formazione per integrarsi alla realtà socio-culturale italiana (ma la Norvegia non ci ha insegnato nulla?). Se le informazioni che abbiamo raccolto saranno confermate dai fatti, pare che siano stati letteralmente gettati nella mischia, senza voler in alcun modo discutere della loro professionalità. Le fonti dicono che due infermiere sono specializzate avendo lavorato per anni, nei loro Paesi, nelle terapie intensive. Anche se è chiaro che per loro la realtà della sanità italiana sarà del tutto nuova.

Il piano di Bertolaso non si ferma certo qui. Nelle prossime settimane, nei prossimi mesi, arriveranno professionisti dall’America Latina in tutte le province della Lombardia, mentre gli infermieri di casa nostra continuano a contattare le agenzia internazionali di recruiting per essere impiegati all’estero.

La carenza di personale giustifica, all’apparenza, il modus operandi della Regione. Mancano in tutto il territorio, infatti, quasi 10mila infermieri. La Lombardia è la Regione, insieme a Veneto, Campania e Piemonte, con la maggiore carenza di professionisti dell’assistenza. Ne mancano all’appello solo 2.300 per attuare il piano del Pnrr, a questo punto fortemente a rischio.

Non abbiamo nulla, lo ripetiamo da tempo, contro i colleghi provenienti dagli altri Paesi, ma ci sembra che ancora una volta la politica, quella nazionale, così come quella regionale, siano davvero a corto di idee. Anzi, abbiamo la triste sensazione che abbiano alzato addirittura bandiera bianca e che si siano arresi alla triste realtà di non voler cambiare le regole, e che soprattutto non si vogliano introdurre reali riforme valorizzanti, le uniche idonee ad aumentare il numero di professionisti disponibili in Italia, per i nostri ospedali. 

Insomma, a noi pare che anche Bertolaso, che fino a qualche tempo addietro chiedeva pubblicamente una valorizzazione economica di queste professionalità, sembra essersi arreso al metodo economicamente più convincente. Alla fine, far arrivare infermieri dall’estero, per tappare le falle man mano che si verificano, costa senza dubbio meno che valorizzare i tanti infermieri operanti in casa nostra, azione, quest’ultima, che tuttavia potrebbe ridare impulso ai corsi universitari ed arrestare la migrazione delle nostre eccellenze all’estero.

Ed è cosi che, mentre dalla Lombardia, così come da altre regioni, incredibilmente non si arresta la fuga dei nostri infermieri verso l’estero, per via offerte economiche decisamente più dignitose e, fattore ancora più importante, di prospettive di carriera ben diverse, i nostri concorsi vanno letteralmente deserti, le nostre iscrizioni ai corsi di laurea sono calati di oltre il 10% e sono in netto calo i laureati in Infermieristica, così come rischiamo di non avere sufficienti ricambi generazionali per gli infermieri, circa 14mila, che andranno in pensione nel 2024.

Tutto questo mentre rischiamo di perdere il 30% di infermieri da qui ai prossimi tre anni! E cosa fa il nostro Governo per rasserenare i professionisti che da anni lavorano sul campo? Pensa bene di mettere le mani nelle loro tasche! Non è ancora chiaro, infatti, se la politica deciderà di estromettere gli infermieri e i medici dall’applicazione  dell’articolo 33 della bozza della Legge di Bilancio.

E proprio con i medici noi ci prepariamo, stanchi e arrabbiati come non mai, a scendere in piazza a Roma nel sit-in del prossimo 5 dicembre, che sarà anche il giorno dell’annunciato sciopero. Da Nord a Sud, ricordiamolo, i pronto soccorso delle città con maggiori bacini di utenza, sono di nuovo a rischio implosione.

E questo per la carenza di personale ormai cronica ma soprattutto per una sanità territoriale debole e a tratti inesistente, che non riesce a snellire i ricoveri, gestendo in modo idoneo i casi meno gravi e dirottandoli verso quegli ambulatori, verso quelle case e quegli ospedali di comunità che sono alla base del rilancio della sanità di prossimità, ma che il Governo ha già deciso di rivedere al ribasso rispetto al piano iniziale della Missione 6 del Pnrr, passando da 1.350 a 936 case di comunità e da 400 a 304 ospedali di comunità.

Una rimodulazione che alla radice non rappresenta certo una buona notizia per una sanità italiana sempre più zoppicante, con alla base una carenza di infermieri ormai cronica. Gli infermieri italiani, allora, scendono in piazza e nello stesso tempo incrociano le braccia, mentre a occupare i posti vacanti, nelle corsie dei nostri ospedali, ci sono colleghi stranieri che non conoscono certo le problematiche delle nostre realtà sanitarie e che potrebbero avere serie difficoltà linguistiche.

C’è ben poco da stare allegri, anche alla luce di quelle risorse ad hoc, indicate da noi come fondamentali nel nuovo contratto, e che dovrebbero  essere destinate esclusivamente ai professionisti dell’assistenza, ma che per ora restano ancora un mistero da svelare.

Redazione Nurse Times

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