Severa rifessione di Nursind Asti sulle parole pronuciate dai relatori all’apertura dell’anno accademico della facoltà di Infermieristica dell’Università di Torino (sede di Asti): “Di infermieristica dovrebbe parlare chi la vive in prima linea tutti i giorni, e non chi la osserva da dietro una scrivania”, scrive in una nota Gabriele Montana, segretario territoriale del sindacato.
“La professione infermieristica è una missione”. Parole pronunciate qualche giorno fa dai relatori all’apertura dell’anno accademico della facoltà di Infermieristica dell’Università di Torino (sede di Asti). Parole che hanno suscitato una riflessione da parte del sindacato Nursind, espressa in una nota: “I relatori dell’incontro hanno sottolineato l’importanza della collaborazione tra l’ambito universitario e il settore sanitario territoriale”.
Secondo il Nursind, però, un conto è vivere l’infermieristica da dietro una scrivania, tutt’altra cosa è viverla ogni giorno in prima linea: “Già, perché la nostra professione non è una vocazione. Non lo è in nessun modo, a nessun livello e da nessun punto di vista. La professione infermieristica è, appunto, una professione e, in quanto tale, trova il proprio motore e la propria definizione nella formazione, nella competenza, nel saper fare. Quindi si realizza nella capacità di applicare il proprio bagaglio conoscitivo ed esperienziale nel rispetto del Codice deontologico, che da solo offre tutto ciò di cui l’infermiere necessita per applicare virtuosamente il proprio sapere”.
E ancora: “Qualcuno, ancora oggi, ritiene evidentemente che per mantenere l’infermiere legato alla propria deontologia questo strumento non basti. Così si arroga il diritto di affiancare a questo ruolo concetti come ‘umiltà’, ‘forza’, ‘compassione’ e, appunto, ‘vocazione’, impedendogli quindi (di fatto) di imporsi come professionista e consegnandolo a un’immagine popolare del benevolo servitore, del caritatevole tuttofare e del sorridente garzone. Ma la nostra non è una vocazione, è consapevolezza”.
Sottolinea Gabriele Montana (foto), segretario territoriale Nursind Asti: “Attualmente, quantomeno nel nostro Paese, la professione infermieristica è diventata scarsamente appetibile. Basti pensare al numero di candidati presentatosi al test di ingresso per accedere alla facoltà dedicata (inferiore al numero di posti disponibili), e a quanti professionisti dell’assistenza decidono di emigrare all’estero, dove godono di maggior riconoscenza e stipendi superiori. Ricordiamo infatti che lo stipendio medio di un infermiere italiano si colloca al di sotto della media europea, cioè è inferiore a quanto percepito mediamente dagli stessi colleghi che operano in altri Paesi dell’Ue”.
Prosegue Montana: “Forse il fatto di chiamarci missionari renderà più appetibile la professione? Questi signori che ci appellano tali, non reputandoci quindi professionisti, sono forse convinti di affollare in questo modo le aule della facoltà di infermieristica? E’ così che vogliono stimolare i giovani, farli avvicinare alla professione e renderli consapevoli di quel che comporta davvero essere un infermiere?”.
Sempre il segretario di Nursind Asti: “Come si può pretendere un maggior rispetto da parte dell’utenza, una maggior riconoscenza per le nostre competenze/conoscenze, frutto, non dimentichiamolo, di un bagaglio culturale che comporta tre anni di formazione universitaria e un costante aggiornamento? Come possiamo avere maggiore rispetto da parte dell’utenza, ma anche da parte degli organi ufficiali che si occupano (da dietro una scrivania) di decidere quanto merita di guadagnare un infermiere? Sicuramente troppo poco, se mettiamo sull’ago della bilancia le responsabilità dietro questa professione”.
Montana rincara poi la dose: “Ma, in fondo, se ci vogliono missionari, è già tanto che non ci chiedano di lavorare gratis. Dispiace poi, ancora di più, apprendere che certe affermazioni siano condivise da chi ha la responsabilità, l’onere e l’onore di occuparsi della formazione dei futuri infermieri, ovvero il presidente della facoltà astigiana, e da chi ha il compito e il dovere, invece, di tutelare gli esercenti la professione, ovvero l’Ordine professionale locale”.
E conclude: “A tal proposito auspichiamo una rettifica da parte loro e una disamina competente sugli appellativi ‘vocazione’ e ‘professionisti’. Ancora una volta si afferm da parte nostra, l’estrema convinzione che di infermieristica sarebbe opportuno che parlasse prevalentemente chi davvero la vive in prima persona, da protagonista tutti i giorni, e non chi la osserva, ormai da tempo o da sempre, da dietro una scrivania”.
Redazione Nurse Times
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