La norma sblocca turn-over del ministro Grillo è una beffa, soprattutto per le regioni del Sud Italia. In Puglia saltano le 4700 unità in più previste a partire da quest’anno
Cosa cambia per le Regioni con l’accordo sulla spesa del personale? Sul piatto l’abolizione del tetto ma da “Roma” solo 55 milioni in più. Per il resto ogni Regione (escluse quelle in piano di rientro) dovrà cavarsela con fondi propri. Come avvenuto fino ad oggi
Governo e Regioni (soprattutto il primo) hanno cantato vittoria ma in realtà l’emendamento annunciato da Grillo il 21 marzo scorso che abolisce il tetto sulla spesa in vigore dal 2010, a conti fatti, non produrrà quella rivoluzione nel comparto come forse qualcuno aveva sperato.
Il tetto va via, è vero, ma in realtà già in tutti questi anni chi poteva (con soldi propri) lo aveva abbondantemente superato.
In sostanza l’accordo cancella il tetto ma a costo zero, se si escludono quei 55 milioni derivanti dall’unico incremento concesso pari al 5% dell’aumento del fondo sanitario regionale rispetto all’anno precedente. Per il resto ognun per sé
La scorsa settimana il ministro della Salute, Giulia Grillo, ha annunciato un emendamento, da approvare con il primo provvedimento utile, per lo sblocco del tetto di spesa per il personale sanitario in vigore dal 2010.
Vediamo di cosa si tratta. Il tetto di spesa per il personale del Ssn, venne introdotto dalla legge Finanziaria del 2010 (191/2009).
Qui si prevedeva che il livello massimo di spesa per il personale doveva parametrarsi a quello dell’anno 2004 diminuito dell’1,4 per cento.
Su questa misura, successivamente, intervenne il Governo Gentiloni riducendo quel parametro dello 0,1% con la legge di Bilancio 2018: il nuovo tetto andava quindi calcolato sulla base del livello di spesa del 2004 diminuito del 1,3%.
Ora, con l’emendamento concordato tra Salute, Mef, PA e Regioni, si prevede che, a decorrere dal 2019, la spesa per il personale del Ssn non può superare il valore della spesa sostenuta nel 2018. Inoltre, tale spesa potrà essere incrementata per un importo pari al 5% dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente.
La simulazione sugli effetti, non avendo ancora a disposizione i dati ufficiali di spesa per il 2018, sono stati usati quelli del 2017 per provare a capire quali effetti possa comportare questa nuova misura nelle diverse Regioni.
I dati analizzati (fonte Mef) non tengono inoltre conto delle sterilizzazioni per i rinnovi contrattuali ma in ogni caso offrono uno scenario sostanzialmente realistico sugli ordini di grandezza di cui si sta parlando.
La prima considerazione da fare è che il “tetto”, in realtà, negli ultimi 9 anni non è stato rispettato in maniera rigorosa dalle Regioni.
Emblematico, in questo senso, il caso di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto – le stesse tre Regioni che oggi stanno trattando con il Governo maggiori autonomie, anche in campo sanitario – che in questi anni hanno sfondato il tetto di spesa per il personale sanitario, rispettivamente per 1,1 miliardi, 590 milioni e 422 milioni, anche se, è importante sottolinearlo, coprendo il differenziale con risorse proprie e garantendo quindi il pareggio di bilancio a fine anno condizione richiesta per essere in regola con gli adempimenti di legge.
E le Regioni in Piano di rientro?
Anche queste, seppur in misura considerevolmente minore, hanno concordato spese maggiori nei Tavoli di verifica con il Ministero dell’Economia. Ad esempio, il Lazio ha superato il limite di spesa per 270 milioni e la Calabria di 73 milioni. Altre ancora, come la Campania, prendendo in considerazione i dati del 2017, andrebbero addirittura in perdita con un passivo di 158 milioni rispetto al tetto del 2004. Proprio per evitare casi come questo si è quindi deciso di prendere il dato maggiore tra quello del 2018 e quello della normativa tutt’ora vigente.
Ma cosa cambia con le nuove regole?
Con l’emendamento governativo si andrà ulteriormente ad acuire una situazione, già in atto, di forte disomogeneità regionale.
La situazione, infatti, migliorerà considerevolmente per quelle Regioni ‘virtuose’.
Le stesse in questi ultimi 9 anni sono state in grado di spendere maggiori (proprie) risorse su questo capitolo di spesa. Il perché è semplice da spiegare.
Tra il livello di spesa del 2004, e quello del 2017, si registra a livello nazionale una maggiore spesa di poco meno di 5 miliardi. Ma questo non vuol dire che ora il Governo metterà sul piatto questi soldi in più, perché tutta la proposta di superamento del tetto di spesa ancorato al 2004 è comunque pensata a invarianza di spesa e nel rispetto delle compatibilità finanziarie. A livello centrale, infatti, viene data solo la possibilità di incrementi annuali pari al 5 per cento dell’incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all’esercizio precedente che dovrebbe tradursi in uno stanziamento complessivo di circa 55 milioni di euro nel 2019.
Sostanzialmente, quello che realmente cambia è la riparametrazione a livello regionale dei limiti di spesa. Per alcune Regioni come Lombardia, Emilia Romagna e Veneto si solleva così di molto l’asticella e resta ferma in ogni caso la possibilità di investire ulteriori risorse attingendo dai propri bilanci; per le altre sottoposte a Piani di rientro, invece, la situazione migliora molto poco.
A tutto ciò va aggiunto che, per queste queste ultime Regioni, resta in ogni caso fermo il fatto che ogni possibile sforamento del tetto dovrà essere concordato nei Tavoli di verifica con il Mef.
Si viene quindi a creare una nuova situazione dove, di fatto, come anticipatoci nei mesi scorsi dal viceministro dell’Economia, Massimo Garavaglia, ci saranno tetti di spesa diversi per ogni Regione, con un ulteriore acuirsi del gap tra le Regioni del Nord e le altre.
La situazione pugliese
Per la Puglia, e per quasi tutto il Sud, la norma sblocca turn-over approvata giovedì scorso equivale a una beffa. Anche se il 9 aprile i tecnici ministeriali dovessero sancire l’uscita dal Piano operativo, i nuovi limiti alla spesa del personale non consentiranno di procedere alle 4.700 assunzioni previste.
Il tetto per il personale era pari alla spesa storica del 2004 meno l’1,4%, che per la Puglia è pari (al netto degli aumenti contrattuali) a 1,961 miliardi. Lo sblocca turn-over ha fissato il nuovo tetto alla spesa sostenuta nel 2018. Cosa cambia? Nulla per chi (quasi tutte le Regioni del Nord) non ha mai rispettato il vecchio tetto. Tutto per la Puglia, che nel 2018 ha speso (il dato non è definitivo) circa 1,7 miliardi netti.
Oggi, in regime di Piano operativo, le assunzioni sono bloccate salvo deroghe da parte dei ministeri (che le hanno concesse con il contagocce). La Regione stava infatti puntando tutto sulla conclusione positiva della verifica che a inizio aprile dovrebbe far venire meno il “commissariamento soft” e dunque anche il blocco delle assunzioni.
Questo avrebbe consentito (è scritto nel Piano operativo) di spendere i circa 200 milioni (che con i rinnovi diventano 300) di differenza tra la spesa attuale e il vecchio tetto calcolato sul 2004: un tesoretto che avrebbe consentito di assumere circa 4.700 unità di personale su un fabbisogno stimato in 6.600. Non sarà più possibile, perché il tetto potrà essere aumentato (a partire dal 2020) solo del 5% dell’incremento del fondo sanitario, cioè (per la Puglia) di un massimo di 5-6 milioni l’anno.
I tecnici dell’assessorato alla Salute stanno effettuando le simulazioni per capire l’impatto del nuovo tetto di spesa. Ma, si fa notare, bisognerà anche tenere conto degli effetti di “quota 100”, che nei prossimi 5 anni dovrebbe far andare in pensione circa 300 medici l’anno.
Già oggi il sistema sanitario pugliese ha 18mila dipendenti in meno rispetto alla Toscana: la media italiana è di 10,4 dipendenti ogni 1.000 abitanti, la Puglia è a quota 8,7.
Al Sud, peraltro, l’età media (53 anni) è sensibilmente più alta rispetto al resto d’Italia. In queste condizioni diventa molto, molto difficile garantire i Livelli essenziali di assistenza: i soli 300 medici che andranno via ogni anno per quota 100 sono l’equivalente di un ospedale di base, e per i medici il deterrente delle penalizzazioni sulla pensione conterà fino a un certo punto. Questo perché in una situazione come la attuale, in cui c’è carenza di medici, tantissimi potranno lasciare le Asl e andare a lavorare nel privato o dedicarsi alla libera professione.
In Puglia nell’ultimo decennio (ed escluso il 2018, i cui numeri definitivi non sono ancora disponibili) il personale è costantemente diminuito: dopo il blocco del turn-over tra il 2010 e il 2012, è stato possibile compensare solo le cessazioni del triennio 2013-2015.
Nei tre anni successivi (quelli del Piano operativo) la copertura del turn-over non è stata integrale, ma andrà valutato l’effetto finanziario delle stabilizzazioni: questo perché i contratti a tempo determinato non entravano (e non entrano) nella determinazione del tetto di spesa.
E dunque è probabile che l’unica soluzione per riempire le unità operative sia affidarsi di nuovo a personale precario.
Redazione NurseTimes
Fonti
www.quotidianosanita.it
www.lagazzettadelmezzogiorno.it
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