Prosegue il processo relativo alla morte di Marco Vannini, giovane deceduto nella vasca da bagno dopo essere stato raggiunto da un colpo di pistola sparato in casa che gli avrebbe attraversato polmone e cuore.
RADIAZIONE DALL’ORDINE DEGLI INFERMIERI PER MARTINA CIONTOLI: FIRMA QUI LA PETIZIONE
Tra gli accusati, presenti nell’abitazione nel giorno della morte, risulta esserci anche Martina Ciontoli, allora fidanzata di Marco. Il giovane, venne lasciato per ore agonizzante nella vasca da bagno dopo il ferimento senza che nessuno facesse niente.
Anche nelle registrazioni delle telefonate effettuate al 118 era possibile udire le urla in sottofondo del ragazzo, che stava lentamente morendo dissanguato.
Martina, allora studentessa del corso di laurea in infermieristica, non prestò soccorso al fidanzato ne telefonò per richiedere l’invio dell’ambulanza.
Si giustificò davanti al giudice dicendo che suo padre le avrebbe detto che la ferita non fosse grave e che la pistola presente in casa sparasse a salve.
Secondo la ricostruzione dell’epoca, Marco Vannini si sarebbe trovato in casa della fidanzata intento a farsi un bagno nella vasca, quando entrò Ciontoli per prendere da una scarpiera un’arma. Partì un colpo accidentale che ferì gravemente il ragazzo. Da quel momento, secondo l’accusa, si sarebbe verificato un ritardo “consapevole” nei soccorsi e le condizioni di Vannini si sarebbero aggravate, fino a provocarne la morte.
Nonostante le accuse e le vicende processuali ancora in corso, Martina Ciontoli si laureò con il massimo dei voti, ottenendo perfino la lode.
Non fecero discutere poco le modalità adottate per conseguire il titolo di studio. La studentessa in infermieristica avrebbe più volte utilizzato il dramma della morte del fidanzato per ottenere voti più alti durante gli esami. Molti ricorderanno la frase diventata tristemente famosa nella quale la Ciontoli affermava quanto segue:
“Prof mi metta 28, sono quella a cui è morto il fidanzato”.
Incredibilmente, dopo aver concluso il percorso universitario, la propria domanda di iscrizione ad OPI Roma è stata accettata senza alcuna riserva, nonostante l’atto professionale mancato (il soccorso ad un ferito grave) che causò inevitabilmente la morte di una persona.
È possibile immaginare che nessun convocazione per chiarire la propria posizione nella vicenda sia mai stata fatta dall’Ordine degli Infermieri di Roma. Ma ora, molti colleghi chiedono una seria presa di posizione in merito a questo caso, auspicandosi di non continuare ad essere accomunati ad una persona che ha avuto un comportamento così immorale e contrario ad ogni etica professionale.
Non sono mancati i post relativi alla vicenda sui social network ed i relativi commenti dei professionisti insegnati:
“Io mi vergogno che questo soggetto sia assimilato a me ed alla mia professione”.
Ci auguriamo che OPI Roma voglia analizzare prontamente tale vicenda, intervenendo come forse avrebbe già dovuto fare in passato.
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