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Noi infermieri…cavalieri senza scudo!

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Puglia. Ordine dei Medici contrari alla bozza sui nuovi protocolli infermieristici per il 118
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Sulle orme Bridget Jones’s Diary…un pomeriggio di fuoco, zero posti letto si corre a accettare i pazienti appena arrivati dal pronto soccorso, tra gli allarmi delle telemetrie che continuano a suonare, si corre per restare nei giusti tempi, cooperando in equipe, tra prelievi, emocolture, consulenze.

Uno sguardo e la tua unità operativa a causa del tram tram quotidiano si è trasformata in un porto di mare. Nonostante il caos, riesci come sempre ad organizzarti portando a termine il tutto, il tuo cambio arriva all’orizzonte, inizi a sentire già il profumo della libertà, già ti immagini distesa sul divano di casa in pieno relax, quando la tua collega con voce preoccupata ti dice: “Pippo non sta bene?”

Non ci serve sapere altro, bisogna intervenire. “Pippo” nome di fantasia, che racchiude 70Kg di allegria, il tipico paziente un po su di età sempre sorridente, con la battuta pronta; ci serve l’urologo urgente, chiamiamo il reperibile, che prontamente giunge in reparto, è tutto pronto, noi siamo pronti. Intorno a letto di Pippo, c’è il cardiologo, l’urologo e quattro infermieri, per non far preoccupare Pippo da questa valanga di attenzioni serali, smorziamo i toni con qualche battuta. Siamo tesi, concentrati e tempestivi, un susseguirsi di manovre, strumenti, sangue e sudore, la situazione sembra stabile, le condizioni migliorano, il tempo di tirare un sospiro di sollievo quando sentiamo delle urla alle nostre spalle, un altro paziente, in preda all’ira ci inveisce contro, iniziando ad offenderci in ogni modo, quasi ci aggredisce fisicamente, ci dice che dobbiamo finirla con quel casino, non capiamo quale sia il problema anche Pippo alza la testa per guardarlo dritto negli occhi… “E’ tardi io devo dormire, smettetela di fare le galline, domani parlo con il primario!”.

Tutti increduli, è un signore giovane, orientato, possibile non si renda conto della situazione, anche solo il sangue sulle nostre mani gli dovrebbe far scattare un campanello di allarme, proviamo a spiegargli, ma nulla, continua, non ci fa lavorare, via la luce, via il nostro chiacchierare, via noi.

Come un toro alla corrida, continua con il suo sproloquio, disperate chiamiamo il medico di guardia, intanto quell’ “Orlando Furioso” nel frattempo con le sue continue urla ha attirato l’attenzione di tutti gli altri pazienti, tu da ingenua infermiera sei sicura che il medico di guardia, difenderà il vostro operato facendo comprendere l’importanza di quel intervento che ha lo strappato alle braccia di Morfeo, invece…ti senti dire: “Ragazzi fate meno rumore!”

E continua: “Anche quando vi date consegna succede che alzate troppo la voce!” con un espressione da “Ragazzi devo far finta di sgridarvi” e intanto da dietro “Galline andate via” continua.

Basiti continuiamo a lavorare, guardo l’ora sarei dovuta essere fuori già da un ora, mi sento ferita, il paziente in questione sarà anche “particolare” ma sentirmi dire che lo dobbiamo assecondare è stato come essere pugnalata alle spalle, io ero li per Pippo, la luce, le voci erano perchè Pippo stava male, i passi che sentiva in corsia era per preparare tutto il necessario, non stavamo giocando, non stavamo ballando in corsia.

Continuiamo il confronto con il medico di guardia in separata sede che con spallucce ci dice: “Cosa potevo fare? Cosa dovevo dire? Così l’abbiamo calmato

Rivivo un dejavu, qualche tempo fa, mentre rianimavo un paziente in arresto cardio-circolatorio, iniziammo a sentire delle urla, che nonostante l’intervento della mia collega non si placavano, già temevo un altra urgenza invece era un paziente di un’altra stanza che come oggi pretendeva che smettessimo di fare caos, io ero li a rianimare e non mi capacitano dell’egoismo umano, era persino entrato in stanza, ci guardava e continuava ad inveire, ed il medico presente iniziò a scusarsi, ripetendo che avremmo fatto presto, che dovevamo fare meno caos, che gli altri dormivano, appena fuori si scusò invece con noi della mancanza di coraggio, ma quello era un “Pezzo grosso”.

Ieri come oggi non riesco a capacitarmi di come non siamo per nulla tutelati, rispettati, oggi mi sarei aspettata una risposta del tipo: “Gli infermieri stavano svolgendo il loro lavoro, stavano gestendo un urgenza, mi dispiace che tutto ciò abbia disturbato il suo sonno, ma era importante intervenire, non si poteva aspettare domani!”, oppure: “Gli infermieri stavano intervenendo come avrebbero fatto con lei, se era lei a stare male”

Non mi aspettavo tanto solo rispetto per la mia professione e per la mia persona, invece il nulla, o peggio la beffa.

Forse in un Universo parallelo, dove si lavora in equipe, con il rispetto che tutti i professionisti meritano, il medico di guardia avrebbe detto: “Caro Signore, quelle galline sono in realtà professioniste, termine bellissimo, che deriva dal latino “profiteur”, cioè professare pubblicamente qualcosa in cui si crede.

Spesso si dice che l’infermieristica è una professione vocata cioè che non può fare chi non è capace di guardare l’altro, e quelle galline all’altro, non solo stavano guardando, oltre il loro orario lavorativo erano li metterci il cuore, guardi caro paziente come è bella la gratuità dell’azione che va a compiere un infermiere, la loro è una professione che non è per tutti, ma è una professione a favore di tutti.

In una società dove l’espressione homo homini lupus regna, l’infermiere rappresenta il ponte di umanità che porta ad assistere, ha rappresentato il ponte dell’esserci per sua moglie oggi, l’esserci mentre l’attendeva preoccupata dalla sala di emodinamica, è il ponte che sa prendersi cura dell’altro oltre ogni categoria, pregiudizio, orario lavorativo e maleducazione. E tutto questo avviene nel silenzio, nel succedersi dei giorni, senza che i più se ne accorgano.

“Non volevano certo svegliarla con i loro gesti rumorosi”, quella procedura dettata dalle migliori evidenze, la mano sfiorata, le frase per smorzare la tensione, uno sguardo incrociato hanno allontanano il timore di morte da quell’uomo preso in carico.
Azioni quotidiane che raccontano quanto le parole non possono contenere. Gesti da gustare in silenzio. Il suo, grazie!”

Federica Olivazzi

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