Andrea, collega catanese del Cisom, ci racconta l’esperienza vissuta il 23 novembre scorso, quando era a bordo di una motovedetta della Guardia Costiera per aiutare chi era finito in mare.
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Mi chiamo Andrea e sono un infermiere professionista del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, originario di Catania. Lavoro con il CISOM nel progetto PASSIM (Primissima assistenza e soccorso sanitario in mare) sugli assetti navali della Guardia Costiera Italiana. Dal 2017 ad oggi ha partecipato a 16 missioni, tra imbarchi su navi maggiori e motovedette.
Quel mare in tempesta, pieno di teste e di braccia, non lo dimenticherò mai. Durante la mia ultima missione a Lampedusa ho vissuto in prima persona i drammatici momenti del naufragio del 23 novembre, a poche centinaia di metri dalla costa. Siamo stati allertati verso le 16:30 e salpati immediatamente a bordo delle motovedette, raggiungendo il target dopo pochi minuti di navigazione.
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A bordo, la squadra della motovedetta è formata da otto persone: cinque militari dell’equipaggio, un rescue swimmer e il team sanitario del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta (un medico e un infermiere). A volte si aggiunge anche un mediatore culturale. Si tratta delle motovedette denominate “Classe ognitempo 300”, capaci di navigare con qualsiasi condizione meteomarina…
Lo scenario che si è presentato ai nostri occhi quel pomeriggio è stato agghiacciante. Tutte le persone recuperate dal mare dopo il naufragio erano terrorizzate e fredde, gelide. Abbiamo subito cercato di aiutare i più gravi, di scaldarli come potevamo. Qualcuno era gravemente ipotermico, qualcuno aveva ferite, altri, appena tirati a bordo, si “lasciavano svenire”. Erano tantissimi. Facevamo fatica a muoverci. Abbiamo distribuito coperte isotermiche e messo tutte le persone vicine, strette le une alle altre, mentre le onde continuavano a scuotere la motovedetta e a riempirla di spruzzi di acqua gelida. Vedevo alcuni migranti piangere e altri tremare, come mai avevo visto qualcuno prima di allora.
Tra i salvati dalle acque c’era anche Faven, la bambina con una giacca di colore rosa. Tirata a bordo, per fortuna la bimba era desta, ma non piangeva. È stata affidata subito alla dottoressa. Ricordo uno dei militari a bordo che ha detto: “Avrà la stessa età di mia figlia”. Poi silenzio. Buio.
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Avete mai visto morire un bambino? Avete mai visto un corpo galleggiare, privo di vita, in mare? In totale c’erano circa 160 persone in acqua. Siamo riusciti a salvarne 149. Tantissime, ma circa 20 hanno perso la vita. I militari dell’equipaggio delle motovedette della Guardia Costiera sono stati bravi e coraggiosi, bravissimi nelle complicate e concitate operazioni di recupero.
Quando, dopo oltre un’ora, la motovedetta ha lasciato la zona del soccorso, si era fatto ormai buio e sulla superficie del mare non vedevamo più nessuno. Speravamo di averli recuperati tutti. Sbarcati i naufraghi al molo “Favaloro” di Lampedusa, tutte le quattro squadre sanitarie CISOM presenti sull’isola si sono adoperate per prestare il primo soccorso. Nel complesso stavano “bene”. Molto infreddoliti, impauriti e stanchi, ma per fortuna le loro condizioni di salute, a un primissimo esame obiettivo, non erano cattive. Un fiume di persone con la testa china, silenziose, avvolte in copertine dorate. Morte dentro, ma vive.
Quello del 23 novembre non è il primo naufragio in cui ho operato. Nella mia carriera mi era già capitato più volte. La mia reazione iniziale è sempre la stessa: la paura mi paralizza, mi impedisce di muovermi e quasi anche di respirare. La paura di non essere all’altezza, di non riuscire a salvare chi implora aiuto. Non mi vergogno di parlarne perché credo sia un istinto naturale. La paura è uno dei primi meccanismi di difesa di ogni uomo. Ma dura un attimo, per fortuna. Immediatamente dopo arriva un altro istinto, più nobile, più bello: quello di aiutare, di sbracciarsi, tendere le mani e dare il massimo per aiutare chi sta rischiando di perdere la vita. Non importa quale sia lo scenario o il contesto lavorativo, credo che questo accomuni tutti noi infermieri.
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Ad oggi si recuperano ancora salme dopo il naufragio del 23 novembre. Io ero a bordo di una delle motovedette quando sono stati recuperati i primi cinque corpi, tutte donne, tutte giovanissime. Malgrado nella nostra professione si abbia spesso a che fare con la morte, con il dolore, io credo che non ci si abitui mai. I numeri sono semplici perché freddi. Non hanno occhi, i numeri. Non hanno odori, non hanno una storia, non hanno qualcuno che gli vuole bene e che li aspetta. Non hanno calore. E invece li, in mare, non c’era l’astrazione dei numeri. C’erano le persone in carne e ossa. Io mi sentivo trapassato dai loro sguardi. Quando incroci uno di quegli sguardi, vieni letteralmente travolto. Sguardi di chi ha lottato giorni contro la stanchezza, per non morire.
Vorrei citare tutti i colleghi delle squadre sanitarie, medici e infermieri che hanno operato senza sosta quella sera, sia a terra che sulle motovedette: Alessandra e Daniele (la bimba non si ricorderà di voi, ma il mondo dei giusti sì), Federica, Giusy, Simone, Saverio, Carmen. Svolgo il lavoro più bello che io possa desiderare, con i migliori colleghi che si possano avere.
Il ruolo dell’infermiere di bordo di una motovedetta è più dinamico rispetto alla professione svolta negli ospedali. La nostra funzione principale, in stretta collaborazione con il medico, è quella di sostenere le funzioni vitali dei pazienti in un contesto molto particolare. Gli spazi ristretti, il moto ondoso, i movimenti della barca e la sicurezza a bordo rendono molto difficoltoso il nostro lavoro.
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Nel corso della mia esperienza ho partecipato a molteplici operazioni SAR (Search and Rescue), prendendo parte al salvataggio di circa 3mila persone. Spesso veniamo allertati per persone colte da malore o ferite a bordo di imbarcazioni. Si tratta soprattutto di pescatori, diportisti, marittimi in genere, ma anche di bagnanti e turisti che affollano le spiagge di Lampedusa, soprattutto nel periodo estivo. La maggior parte dei nostri interventi riguarda attività di ricerca e soccorso di barche di migranti che giungono a ridosso di Lampedusa.
Redazione Nurse Times
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