La rivoluzione di cui si ha bisogno è una rivoluzione culturale, dove alla figura dell’infermiere venga dato il valore, il rispetto e la rappresentanza che merita anche ai livelli più alti. “Essere 1 infermiere” è una la neo associazione creata a fine maggio per promuovere, senza barriere, la figura infermieristica a livello sociale. Nata nel bolognese, vuole farsi conoscere da più persone possibili, poiché “inclusione” e “collaborazione” sono le parole d’ordine dei fondatori di questa nuova realtà.
“L’associazione ha alle spalle un anno di lavoro in cui noi, gruppo eterogeneo di infermieri, ci siamo uniti per impegnarci nel proteggere la nostra professione. Abbiamo collaborato con il Movimento Nazionale Infemieri, abbiamo scritto alla Federazione, al Governo e abbiamo iniziato ad incontrarci e confrontarci” ha spiegato il presidente dell’associazione, Fabio Pavone, infermiere impegnato in medicina interna al Sant’Orsola Malpighi. “Il nostro campo di azione si estende già oltre il territorio regionale e siamo pronti a batterci positivamente per i nostri diritti” ha aggiunto Pavone.
Tra le battaglie da vincere, spiega, c’è sicuramente l’uscita dal comparto, nonché l’annullamento del vincolo di esclusività che egli definisce “una catena che lega l’infermiere all’azienda”.
“L’associazionismo nasce per rigenerare la figura dell’infermiere, vuole rispondere all’esigenza sociale di rivoluzionare culturalmente la figura dell’infermiere” dice Davide Magi, infermiere impegnato in medicina interna, ex medicina Covid, a Riccione. “Se è vero che i sindacati nascono con l’obiettivo di battersi per i diritti dei lavoratori, è anche vero che devono anche rispondere a dinamiche politiche, – aggiunge Magi, – per questo le associazioni hanno dovuto prendere in mano la lotta per i nostri diritti in un’ottica forse più etica. Io credo che ognuno, nell’ambito della propria competenza, debba esprimersi al meglio. Dobbiamo assolutamente comprendere che la figura dell’infermiere, per come è oggi, con una “catena al collo” e carenze dal punto di vista contrattuale, non solo non ha un degno riconoscimento economico, ma non lo avrà mai, nella misura in cui non ci sarà un riconoscimento culturale“.
Dopo aver innalzato gli infermieri a eroi durante i primi mesi della pandemia, sembra che si stia già tornando a dimenticare l’importanza di questa figura all’interno della sanità italiana. Nel discutere sulle ultime situazioni in cui competenze prettamente infermieristiche sono state affidate ad altri ruoli (come ad esempio agli Oss), Fabio Pavone ha voluto mettere in chiaro la posizione di “Essere 1 infermiere”. “È bene che le figure professionali di altri tipi crescano e si evolvano nel tempo, – ha detto, – ma non bisogna scordarsi che la nostra è una professione che delle specifiche competenze, degli studi, una laurea, dei master, non è un mero mestiere o l’essere esecutori di una prescrizione, ma alle spalle c’è una scienza e coscienza che rappresentano l’infermiere. Questo, senza nulla togliere alle altre figure. Ma un vaccino, ad esempio, è un farmaco e l’infermiere è responabile della preparazione, somministrazione e post somministrazione del vaccino. Questo perché abbiamo la specifica preparazione universitaria. Non va dimenticato”.
“Essere 1 infermiere” nasce anche con lo scopo di coinvolgere gli stessi infermieri ad attivarsi per proteggere la professione. “Un’associazione lotta per i propri valori, etici e morali, non politici, – dice Davide Magi, – e ti devi esporre per ottenere qualcosa, se non lo fai hai già perso. Molti hanno sofferto tantissimo dall’inizio della pandemia e hanno sintomi post traumatici da trincea, esattamente come quelli di una guerra. Queste sono tristi verità. Il burnout in Italia è alle stelle da tanto tempo. Una associazione come la nostra vuole assolutamente dare una possibilità nel migliorarci, pian piano, con confronto e consapevolezza”. Intanto, il 15 giugno, a Piazza Maggiore a Bologna, si terrà un flash mob, proprio allo scopo di coinvolgere i lavoratori e farsi notare dalle istituzioni, dalla Federazione e dagli Ordini provinciali.
“Molto probabilmente, – aggiunge, poi, Pavone, – il carico di lavoro che un infermiere ha è così alto che a volte non hai neanche la forza il tempo di pensare a cosa la tua professione non ha. La nostra situazione lavorativa è così da 20anni. Noi lavoriamo senza rispetto degli standard nazionali, molti nostri colleghi non sanno cosa gli infermieri devono fare, e alle volte si lavora così tanto che non c’è tempo nemmeno di pensare se siamo o meno rispettati. La verità è che chi ha scelto di fare l’infermiere non lo ha fatto pensando ai soldi, al guadagno, perché altrimenti avrebbe probabilmente scelto un’altra professione. La nostra professione, è la nostra missione, nonostante a molti colleghi non piaccia ammetterlo, però è vero. È un servizio caritatevole che fai verso l’altro. Davanti a noi vediamo persone che hanno bisogno di noi e noi lo facciamo. Ma è altrettanto vero non dobbiamo essere “caproni”: l’impegno va riconosciuto. Gli infermieri non sono “eroi”, sono lavoratori che vivono la propria professione ogni giorno, prima della pandemia, durante e lo continueremo a fare sempre”.
“Essere 1 un infermiere”, riferimento all'”essere o non essere” di Shakespeare, sintetizza l’essenza di quello che i fondatori dell’associazione credano fermamente sia il loro lavoro. “Puoi essere tutto quello che vuoi, ma se sei un infermiere non puoi non esserlo” conclude Pavone racchiudendo, in questa frase dalla logica basilare, la profondità intrinseca di un lavoro complesso che è fatto di scelte importanti, di studi, di pazienza e immensa professionalità.
“Noi vogliamo comunicare e collaborare con chi ci vuole ascoltare. Siamo limpidi, sinceri”.
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