Il recente caso dell’ospedale Pertini di Roma è occasione per condividere alcune considerazioni sull’assistenza sanitaria fornita nei reparti di maternità. Questo l’intento del seguente approfondimento a cura di Sin, Sip, Sigo e Aogoi.
L’Oms e l’Unicef, così come il ministero della Sanità, sottolineano l’importanza di un‘assistenza che metta al centro i bisogni di salute della diade madre-neonato. La Società italiana di neonatologia (Sin), la Società italiana di pediatria (Sip), la Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo) e l’Associazione ostetrici e ginecologi ospedalieri italiani (Aogoi), come principali società scientifiche italiane d’area perinatale, sono da tempo impegnate nel promuovere la relazione madre-bambino e l’allattamento al seno, investimenti duraturi con positivi risvolti sociosanitari.
La moderna organizzazione delle maternità attualmente prevede la gestione congiunta di madre e bambino, il cosiddetto rooming-in, che va proposto fornendo il necessario sostegno pratico e psicologico alla nuova famiglia. La gestione separata di madre e neonato, prevalente in epoche passate, ostacola invece l’avvio della relazione genitore-famiglia-neonato, è contraria alla fisiologia, anche dell’allattamento, e non garantisce da eventi neonatali imprevisti e tragici. Facciamo riferimento in particolare al collasso post-natale, conosciuto come SUPC (Sudden Unexpected Postnatal Collapse). Si tratta di un evento improvviso e inaspettato, molto raro (colpisce otto neonati ogni 100mila), ma documentato a livello internazionale.
Si verifica nella prima settimana di vita, talvolta a causa di patologie sottostanti non diagnosticate, ma il più delle volte in bambini apparentemente sani. Le attuali indicazioni delle società scientifiche per prevenirla si basano sull’eliminazione, nei limiti del possibile, dei fattori di rischio associati. La condivisione del letto tra una madre vigile e un neonato sano, messo in una posizione di sicurezza, è un fatto naturale, pratico, indiscutibile. Le società scientifiche, però, attualmente raccomandano di evitare la condizione del co-sleeping, giudicata non sicura, suggerendo di riporre il bambino a fine poppata nella propria culla, in particolare quando non siano presenti altri caregiver (famigliari o operatori sanitari). Questa prudenza è giustificata ben oltre la permanenza di mamma e bambino nel punto nascita e interessa tutti i primi sei mesi di vita.
È però inevitabile che, nonostante tutte le cautele, mamma e bambino possano spontaneamente addormentarsi nello stesso letto. Si tratta di un evento che, più che essere drammatizzato, richiede un rinforzo di informazione alle famiglie sulla sicurezza del bambino durante il sonno. La carenza a livello nazionale del personale sanitario, pesantemente sofferta anche nell’area del percorso nascita, non è motivo sufficiente per giungere a ipotizzare proposte assistenziali involute e di minore qualità, come la gestione separata di madre e bambino.
In conclusione, Sin, Sip, Sigo e Aogoi:
- sottolineano il valore essenziale della pratica del rooming-in;
- raccomandano che l’implementazione del rooming-in, per essere appropriata, preveda che:
- le famiglie siano adeguatamente informate, coinvolte e supportate;
- gli operatori sanitari offrano un’assistenza per quanto possibile individualizzata ed empatica, in modo che l’indicazione istituzionale a praticare il rooming-in sia declinata in maniera appropriata.
Redazione Nurse Times
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