La Corte di Cassazione ha riconosciuto colpevole in via definitiva Sara Vecchini, infermiera del Policlinico Borgo Roma di Verona, condannandola a tre anni e sei mesi di reclusione per aver somministrato una dose potenzialmente letale di morfina al piccolo Tommaso, nato da appena un mese e da lei definito “troppo rognoso”.
I fatti risalgono alla sera del 19 marzo 2017. Nel capo d’imputazione si legge che Vecchini avrebbe “provocato un’overdose da sedativi con arresto respiratorio” al neonato, che stava per essere dimesso dalla Terapia intensiva neonatale di Borgo Roma. La giudice Alessia Silvi, che condannò l’infermiera a Verona in prima battuta, ha affermato che l’accusata, con il suo gesto insano, cercava di dimostrare di essere la migliore tra le infermiere.
Avrebbe infatti auto-somministrato morfina a un neonato sano, tenendolo sotto controllo, per poi intervenire e, gratificando il suo ego, salvarne la vita con l’uso del farmaco Narcan, suggerito ai medici.
Vecchini ha sempre rigettato le accuse, professandosi innocente. “Non sono stata io a dare la morfina al bambino – ha dichiarato in aula -. Non avrei mai fatto del male a lui e a nessuno dei piccoli che ogni giorno assistevo. Amo il mio lavoro, è tutta la mia vita e mi manca moltissimo”
Parole che non hanno convinto i giudici della Corte di Cassazione, che hanno confermato la condanna a tre anni e sei mesi, anche se l’infermiera non dovrebbe andare in carcere. Stando ai conteggi della difesa, Vecchini avrebbe infatti già scontato circa un anno, tra cella e domiciliari. Tocca ora al Tribunale di Sorveglianza di Verona stabilire in quali modalità dovrà scontare il resto della pena.
Al momento l’ipotesi più probabile è un regime di affidamento in prova ai servizi sociali. Condizione, questa, che le consentirebbe anche di continuare a svolgere il proprio lavoro in una casa di riposo privata, dove Vecchini è stata assunta dopo lo scandalo e i vari processi.
Redazione Nurse Times
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