Vediamo quali conseguenze possono derivare dall’esposizione alle radiazioni per l’eventuale esplosione di un ordigno atomico.
In tempi di guerra, come quelli che stiamo vivendo per via della guerra russo-ucraina, si torna a parlare di minaccia nucleare. Un argomento che comporta non poche preoccupazioni anche dal punto di vista sanitario, viste le ripercussioni sulla salute dell’eventuale esplosione di un ordigno atomico.
Il rischio maggiore, oltre naturalmente alla morte, è chiamato sindrome acuta da radiazioni (Sar) e si riferisce a un insieme di fenomeni potenzialmente fatali derivanti dall’esposizione ad alte dosi di raggi ionizzanti. I primi sintomo sono lievi (diarrea, nausea, vomito, anoressia), ma poi arrivano quelli più gravi. Molti tumori possono derivare dalla Sar: al seno, alla tiroide, al polmone e la leucemia. L’intensità della malattia dipende dalla durata dell’esposizione alle radiazioni e dalla distanza dal punto di impatto della bomba. Queste informazioni provengono dagli studi dei medici americani sui giapponesi dopo il lancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki alla fine della seconda guerra mondiale.
Un altro rischio è rappresentato dalla sindrome ematopoietica, che si caratterizza per la comparsa di diarrea, crampi addominali, a volte sanguinamento digestivo e sepsi. Tutti sintomi dovuti alla rottura della mucosa intestinale e a ulcerazioni digestive. Come spiega l’IRSN (Istituto per la protezione delle radazioni e la sicurezza nucleare), “può portare alla morte in una o due settimane”.
La Sar, inoltre, può provocare la sindrome neurovascolare, letale dopo pochi giorni, che si caratterizza per un coma profondo causato da edema cerebrale e ipertensione endocranica. Infine c’è la possibilità della radiazione localizzata, ovvero circoscritta a un’area del corpo. Si tratta di un’ustione radiologica che, a differenza delle tradizionali ustioni da calore, può estendersi in superficie e in profondità, portando alla necrosi.
Redazione Nurse Times
Fonte: Maxisciences.com
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