Riceviamo e pubblichiamo una lettera del dottor Matteo Incaviglia, che si inserisce nel dibattito sul vincolo di esclusività.
Gentile Direttore,
desidero inserirmi nel dibattito da qualche giorno presente su questa testata e riguardante la possibilità – finalmente, mi vien da dire – di svolgere la libera professione per gli operatori delle professioni sanitarie di cui all’articolo 1 della Legge 1° febbraio 2006, n. 43, come previsto dall’articolo 13 del DL 30 marzo 2023, n. 34.
Mi sfugge preliminarmente la ratio che ha portato alla decisione, nottetempo, di modificare la bozza, rectius articolo 11, sostituendolo con l’articolo 13 e con l’aggiunta della locuzione “fino al 31 dicembre 2025”. Vieppiù che con l’articolo 13 del citato DL, così come formulato, non viene superato l’articolo 3 quater del Dl 127/21, che prevede espressamente l’autorizzazione da parte dell’azienda di appartenenza.
Ciò posto, evidentemente non si comprende, per la verità ormai da qualche ventennio, che si tratta di derogare a norme manifestamente immorali, discriminatorie e classiste, che riconoscono la possibilità di svolgere la libera professione, oltre che di intascare una lauta indennità di esclusività ad alcune categorie, mentre negano la stessa possibilità agli infermieri e a tutto il resto dei professionisti della salute.
In buona sostanza, l’azione disciplinare, con la sanzione financo del licenziamento, viene riservata esclusivamente al personale del comparto nel caso in cui non ottemperi all’odioso obbligo a cui invece non è tenuta la dirigenza. Una vergognosa discriminazione, che dura ormai da troppo tempo e a cui bisogna mettere fine, senza se e senza ma.
Altresì, come si può pensare di arginare la fuga degli infermieri, ma anche di altri professionisti, verso altri Paesi europei, se si mantiene l’attuale assetto normativo e organizzativo, che tarpa le ali a ogni forma di sbocco professionale e a ogni possibilità di migliorare la retribuzione di questi professionisti della salute?
Matteo Incaviglia
Ass. Infermieristica legale
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