Cos’è che mi spinge ancora ad impegnarmi dopo più di vent’anni in questa professione, nonostante le difficoltà crescenti con le quali sono costretta a confrontarmi?
Come me, sono certa si porranno la stessa domanda centinaia, forse migliaia di colleghi ogni giorno.
Per me è qualcosa che ha a che fare con la mia identità di persona ancor prima che di professionista. E’ qualcosa che ha a che fare con la motivazione che mi ha spinto a fare un lavoro difficile, ma che sa darmi grandi soddisfazioni.
Certo, non si vive solo di gratificazioni. Avere considerazione sociale ed uno stipendio adeguato al costo della vita e ai sacrifici fatti, in termini di studio e di impegno, sarebbe il giusto riconoscimento per me, come per tutti i professionisti infermieri.
La nostra professione, in Italia purtroppo, stenta ancora a sganciarsi da vecchi stereotipi e a conquistare i propri spazi.
Come fare allora a non lasciarsi travolgere da questa marea di pessimismo, che purtroppo fonda le sue basi, su problemi reali e molteplici, che affliggono la nostra categoria?
Ritornando all’essenza dell’essere infermieri, ossia alla “cura” dei propri pazienti.
E’ così allora che ti lasci ipnotizzare da un’immagine datata, quella di una giovane infermiera e della sua piccola paziente e della storia che ci sta dietro. E allora ti dici, che è per cose come queste che continui a fare questo lavoro e ad impegnarti più che mai.
Ma eccovi brevemente la storia che sta dietro queste foto bellissime.
Le foto allegate al presente articolo ritraggono una giovane infermiera Susan Berger, poco più che ventunenne con in braccio una piccola paziente, Amanda Scarpinati, di soli tre mesi che ha subito ustioni di terzo grado sul cuoio capelluto e sul braccio e sulla mano sinistra, a causa di uno sfortunato incidente domestico.
Le foto risalgono al 1977 e furono realizzate per l’annuario dell’Ospedale di Albany (New York) dal fotografo Carl Edward. Cresciuta la Scarpinati ha cominciato a cercare la misteriosa infermiera che l’aveva tanto amorevolmente assistita. E non ha smesso di farlo per anni, finché non ha deciso di chiedere aiuto ai Social Network.
Ed è così che ad appena 24 ore dalla pubblicazione del suo appello e delle foto in suo possesso su Facebook, le è stato possibile rintracciare la misteriosa infermiera.
L’incontro è avvenuto ad Albany nello stesso ospedale dove le due donne 37 anni prima avevano condiviso parte del tragitto della propria vita. Il servizio realizzato dalla CBS ci mostra l’abbraccio commovente delle due donne.
Eccovi la traduzione per sommi capi del servizio realizzato l’anno scorso dall’emittente americana CBS. Dopo l’introduzione che riassume brevemente la vicenda e l’abbraccio delle due protagoniste, intervistate dalla giornalista Michelle Miller, la oramai cresciuta Amanda Scarpinati parla per prima delle foto dicendo che spesso quando mostrava queste foto le veniva chiesto se quella giovane donna non fosse la madre, e lei semplicemente rispondeva, “che no, non era sua madre, ma l’infermiera che l’aveva curata anni prima, infermiera di cui sconosceva tuttavia anche il nome”.
L’infermiera Susan Berger (adesso Vice Presidente del Cazenovia College di New York e Nurse Practioner), continua raccontando di come la piccola Amanda fosse una bambina buonissima nonostante l’intervento subito, le ustioni ed il dolore patito.
A questo punto dell’intervista interviene la giornalista a cui sembra incredibile che dopo tanto tempo l’infermiera possa ricordarsi ancora della piccola paziente, l’infermiera Berger, allora, continua nel suo racconto: “no, non mi sono affatto scordata di lei, mi ricordo di come oltre ad essere una bimba calma fosse interessata a me, e ciò era inusuale per una bambina così piccola appena uscita da un intervento così doloroso”.
Dolore che la piccola Amanda ha dovuto affrontare sotto svariate forme, non da ultimo il bullismo dei compagni di scuola, per vie delle cicatrici sul volto e sul braccio.
“Per me, continua la Scarpinati, guardare quelle foto dove si intravede un legame forte, mi ha sempre confortato”. Racconta di come si sia decisa a rivolgersi ai social media e di come sempre attraverso questi sia venuta a conoscenza del nome di quell’infermiera che l’aveva tenuta stretta tra le sue braccia molto tempo prima.
In risposta all’ultima domanda della giornalista che ad entrambe aveva chiesto a termine dell’intervista cosa avessero provato guardandosi negli occhi quel giorno, la Scarpinati ha risposto: “nulla, se non la voglia di abbracciarla”, mentre l’infermiera Berger: “per me è come se la stanza fosse diventata buia, riuscivo a vedere solo Amanda”.
Il servizio si conclude con le considerazione della giornalista. Forte l’emozione che entrambe sono riuscite a suscitare.
Bellissima storia, non vi è dubbio, che ha la forza di rammentarmi il perché io abbia scelto e continui a farlo giorno dopo giorno, questo lavoro.
Rosaria Palermo
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