Leonid Rogozov, chirurgo operante in una base antartica sovietica fu costretto ad operarsi da solo.
I fatti risalgono al 1961, durante l’inverno polare, il medico esploratore era da poco sbarcato dalla nave Ob. Il suo compito era quello di creare una base sovietica sulla costa Astrid Princess. Lavorando sodo con i propri collaboratori la base Novolazarevskaya fu pronta per il mese di febbraio. Appena in tempo per affrontare il terribile inverno polare, con tempeste di neve, gelo estremo e buio pressoché perenne. La nave che gli avrebbe riportato a casa non sarebbe tornata fino al dicembre successivo. Il team sarebbe rimasto isolato in un ambiente del tutto inospitale per quasi un anno, come precedentemente programmato.
Nel mese di aprile Rogozov accusò un malore. Inizialmente si trattò di nausea, malessere e debolezza. Successivamente comparvero anche ipogastralgia destra e febbre. Tutto ciò è stato accuratamente riportato nel diario del medico. In data 29 aprile 1961 è possibile leggere quanto segue:
«Sembra che io abbia l’appendicite. Continuo a mostrarmi tranquillo, perfino a sorridere. Perché spaventare i miei amici? Chi potrebbe essermi di aiuto?»
Il giovane medico decise quindi di iniziare una terapia antibiotica e applicazioni fredde locali. Le sue condizioni peggiorarono rapidamente; nausea e vomito diventarono sempre più frequenti mentre la febbre continuava a salire.
Nella sua mente si profilò l’unica soluzione possibile per salvarsi la vita onde evitare la perforazione giudicata ormai imminente: operarsi da solo.
Alle 20.30 del 30 aprile 1961 Rogozov scrisse sul proprio diario queste parole:
«Sto peggiorando. L’ho detto ai compagni. Adesso loro stanno iniziando a togliere tutto quello che non serve dalla mia stanza».
Il locale dove avrebbe avuto luogo l’intervento chirurgico venne preparato dal meteorologo Alexandr Artemev, il meccanico Zinovy Teplinsky e il direttore della stazione Vladislav Gerbovich.
I tre assistenti improvvisarsi si lavarono per l’intervento e indossarono guanti e camici sterilizzati in autoclave.
Artemev fu lo strumentista, Teplinsky regolò la direzione della lampada e orientò lo specchio, Gerbovich fu pronto a sostituire chi degli altri due si fosse sentito male o fosse svenuto.
Rogozov preparò alcune siringhe diluendo alcuni farmaci che avrebbero dovuto essergli iniettati qualora avesse dovuto perdere conoscenza.
Tutto era pronto, l’intervento ebbe inizio alle 2 del mattino successivo. Per la prima volta nella storia un chirurgo si è operato completamente da solo di appendicectomia.
L’unico precedente simile risale al 1921, ad opera del dottor Kane. In questo caso l’intervento fu iniziato dal chirurgo ma completato dagli assistenti.
Rogozov fece tutto da solo, decidendo di operare senza guanti, perché, nonostante abbia scelto una posizione semiseduta che gli permettesse di guardare quanto stesse facendo, sapeva che avrebbe dovuto orientarsi prevalentemente utilizzando il tatto.
La parete addominale fu infiltrata in più punti con 20 ml di procaina 0,5%. Trascorsi 15 minuti Rogozov praticò l’incisione chirurgica di 10-12 centimetri rendendosi subito conto che la visibilità del campo operatorio, specialmente in profondità, era molto scarsa, costringendolo spesso ad alzare la testa. Le mani del medico e la scelta di operarea senza guanti permisero all’intervento di proseguire regolarmente. Trascorsi 45 minuti, nei quali le sue mani hanno esplorato la sua stessa cavità addominale, il chirurgo comincio ad avvertire un intenso senso di vertigine e di crescente debolezza che lo costrinsero ad interrompersi più volte.
Gli assistenti gli asciugarono ripetutamente il sudore dalla fronte. Nel tentativo di raggiungere l’appendice, il medico lesionò accidentalmente il cieco, obbligandolo a praticare una sutura non pianificata.
La sensazione di debolezza era sempre più intensa ed invalidante e lo costrinse a doversi fermare ogni 4-5 minuti per circa 20-25 secondi.
Finalmente Rogozov riesce a trovare l’appendice. Il battito del suo cuore rallentò facendogli avvertire una sensazione di svenimento imminente: pensò che tutto stesse per finire male. Alla fine riuscì a rimuovere l’appendice e a ricucire la ferita chirurgica.
«Con orrore mi rendo conto che l’appendice ha una macchia scura alla base. Questo vuol dire che anche un solo altro giorno e si sarebbe rotta e…» scriverà poi Rogozov nel suo diario, lasciando i punti di sospensione.
L’intervento terminò alle 4 del mattino. Gli assistenti, che più volte sono stati sul punto di svenire, possono finalmente sgomberare la stanza dalle attrezzature. Rogozov, sfinito dall’intervento si autosomministrò un farmaco sedativo addormentandosi. La mattina successiva la propria temperatura ascellare fu 38,1 °C.
Proseguì la terapia antibiotica e dopo quattro giorni il suo intestino riprese a funzionare correttamente. La sua temperatura iniziò a decrescere immediatamente dopo l’intervento chirurgico. Due settimane dopo l’intervento e dopo aver rimosso i punti di sutura, Rogozov tornò al lavoro.
In data 8 maggio il medico, ripensando al suo stato d’animo durante l’intervento scrisse:
«Non mi sono concesso di pensare a nient’altro che al compito che avevo davanti. Era necessario armarsi di coraggio e stringere i denti».
Il 29 maggio 1962 la nave recuperò il gruppo di esploratori riportandoli a Leningrado. Rogozov tornò a lavorare nel dipartimento di Chirurgia Generale del First Leningrad Medical Institute.
Morirà il 21 settembre 2000, quasi quarant’anni dopo il suo straordinario intervento di appendicectomia.
Simone Gussoni
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