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Lavoro notturno: possibili effetti sulla salute riproduttiva?

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Lavoro notturno: possibili effetti sulla salute riproduttiva?
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L’argomento dei possibili effetti del lavoro notturno sulla salute riproduttiva è al centro del seguente approfondimento a cura di Punto Sicuro.

In un recente dossier dell’istituto francese INRS sono stati ricordati e segnalati i problemi di salute e le possibili conseguenze degli orari di lavoro atipici, come il lavoro a turni e il lavoro notturno. In particolare, il lavoro notturno è spesso utilizzato in vari settori lavorativi (sanità, vigilanza, industria alimentare, trasporti, logistica e metalmeccanica, turistico/alberghiero…) e, riguardo all’Italia, i dati Eurispes indicano che sono circa 2,5 milioni i lavoratori notturni nel nostro Paese.

Tale modalità lavorativa atipica “si inserisce nell’ambito dell’organizzazione del lavoro e richiede specifiche accortezze poiché può rappresentare uno specifico rischio professionale”. A ricordarlo è, in questo caso, una recente scheda informativa, un factsheet prodotto dal Dipartimento Inail di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale (DIMEILA) e dal titolo “Lavoro notturno e salute riproduttiva”.

Nel documento – curato da L. Caporossi, M. De Rosa, B. Papaleo e A. Pera – si indica che alcuni processi fisiologici “sono regolati dai ritmi circadiani e questa sincronizzazione, in larga parte controllata dall’alternanza luce/buio, incide sui livelli di melatonina, secreti dalla ghiandola pineale”. Eventuali alterazioni in questa sincronizzazione “comportano variazioni ormonali e cellulari”.

Inoltre recenti studi hanno individuato la possibilità che “una modificazione dei ritmi circadiani, particolarmente su una popolazione femminile, possa andare ad incidere sui livelli di concentrazione, oltre che della melatonina, anche degli ormoni sessuali (LH, FSH e PRL), ipotizzando una soppressione della funzione ovarica potenzialmente dipendente dal lavoro notturno, e questo può contribuire indirettamente allo sviluppo di tumori ormone-dipendenti, oltre a una irregolarità nel ciclo mestruale significativamente maggiore”.

Lavoro notturno e salute riproduttiva: la normativa

La scheda fa, preliminarmente, il punto delle indicazioni normative italiane su questo tema con particolare riferimento al Decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (“Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro”).

È ricordato l’art. 1 comma 2 d.lgs. 66/2003 s.m.i., dove con “periodo notturno” si intende il “periodo di almeno sette ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino”. E con “lavoratore notturno” si intende “qualsiasi lavoratore che svolga per almeno tre ore lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno (il suddetto limite è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale)”.

Si ricordano poi l’art. 11 comma 2 d.lgs. 66/2003 e s.m.i., l’art. 53 d.lgs. 151/2001 e l’art. 10 d.lgs. 345/1999, in relazione al “divieto di adibire a lavoro notturno donne in gravidanza, fino al compimento di un anno del bambino” e al “divieto per i minori” (decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 345. Attuazione della direttiva 94/33/CE relativa alla protezione dei giovani sul lavoro). 

Segnaliamo, poi, il decreto legislativo 26 novembre 1999 n. 532, recante “Disposizioni in materia di lavoro notturno, a norma dell’articolo 17, comma 2, della legge 5 febbraio 1999, n. 25”.

Lavoro notturno e salute riproduttiva: effetti sulla salute riproduttiva

Veniamo a quanto indica la scheda sui possibili effetti sulla salute riproduttiva dei lavoratori. Gli autori ricordano che lavorare in modo continuativo nel periodo notturno “si accompagna ad una ‘desincronizzazione’ dei ritmi biologici, sociali e familiari, che, come indicano diversi studi in letteratura, può aumentare l’insorgenza di problemi di salute”.

In particolare, il sistema endocrino e la funzione riproduttiva “sono stati indagati come nuovo target di una esposizione protratta a lavoro notturno” e sono state pubblicate “indagini diverse, sia sull’uomo che sulla donna, per comprendere in quale misura possa rilevarsi un effetto avverso in correlazione con il lavoro notturno”.

Nella scheda sono presenti due figure che riportano le evidenze maggiormente emerse per donne e uomini. Riprendiamo, a titolo esemplificativo, quella riguardante le donne:

In particolare, gli studi sulla popolazione femminile hanno evidenziato, in generale, “l’insorgere di alterazioni mestruali, tanto più evidenti quanto più consistente è l’anzianità lavorativa. Queste alterazioni hanno mostrato, in studi specifici, anche indici di rischio maggiori per un aumentato tempo di attesa nel concepimento, menopausa anticipata e insorgenza della sindrome dell’ovaio policistico”.

Mentre le indagini sulla popolazione maschile “sembrano presentare esiti meno univoci. Alcune indagini identificano nella ridotta qualità del sonno notturno, in particolare in un tempo di sonno notturno inferiore alle 6 ore, un fattore di possibile rischio per la riduzione della qualità del liquido seminale, in modo particolare per la concentrazione spermatica e la motilità degli spermatozoi. Alcuni autori hanno rilevato anche una correlazione con un peggioramento della funzione erettile. Questi dati però, secondo le indicazioni degli stessi ricercatori, richiederebbero ulteriori conferme epidemiologiche e biochimiche”.

Lavoro notturno e salute riproduttiva: misure di prevenzione

Veniamo, infine, alle possibili misure di prevenzione. Si segnala che l’organizzazione dei turni di lavoro, e quindi del lavoro notturno, “è regolamentata da accordi presenti nella contrattazione collettiva in diversi comparti produttivi”. E questo “comporta un grado di discrezionalità da parte del datore di lavoro per gestire l’organizzazione del lavoro in modo funzionale per l’attività lavorativa specifica”.

Se poi “comunemente non sono presenti delle rigidità che vincolino a turnazioni definite”, all’interno di tale possibile variabilità è importante “che siano chiare le misure di prevenzione e protezione che possono andare a ridurre le alterazioni circadiane e quindi possibili eventi avversi”. Senza dimenticare che “il consenso e il coinvolgimento dei lavoratori notturni sono essenziali nell’organizzazione di questi orari”. 

È insomma essenziale tener conto che l’organizzazione del lavoro gioca un “ruolo centrale nella gestione del rischio da lavoro notturno e nell’adozione di turni e tempistiche che consentano di minimizzare i possibili rischi per la salute e la sicurezza”.

A questo proposito si ricorda che “gli elementi principali da tenere in considerazione per la valutazione del rischio sono: genere, età, lunghezza frequenza e regolarità del turno, direzione della rotazione, numero di notti consecutive, orario di inizio e fine turno, modalità di inserimento dei giorni di riposo, presenza di turni nel weekend, orario prolungato”.

Mentre interventi compensativi riguardano, ad esempio: “la riduzione delle ore di lavoro notturno; l’incremento del numero dei riposi compensativi; la possibilità di passaggio al lavoro diurno ad intervalli periodici o in modo stabile dopo un determinato numero di anni; garantire un adeguato training per i lavoratori; messa a disposizione di appositi spazi/ stanze tali da consentire il godimento di brevi pisolini in rapporto al tipo di lavoro”.

Si segnala poi l’importanza del ruolo del medico competente – già previsto a partire dal d.lgs. 532/1999 art. 5 – “che dovrà valutare lo stato di salute del lavoratore, accertando l’idoneità alla mansione specifica che prevede lavoro notturno, conducendo visite preventive, visite periodiche almeno ogni 2 anni e visite in caso di condizioni di salute incompatibili con lo svolgimento del lavoro notturno”.

In particolare, il medico competente “sarà chiamato a porre attenzione a quelle condizioni cliniche che potrebbero rappresentare rischi aggiuntivi per il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici, tenendo in considerazioni anche l’assetto endocrino”.  

Redazione Nurse Times

Fonte: Punto Sicuro

Licenza: Creative Commons

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