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La storia di Alberto Barea, infermiere a Londra: “Qui il mio lavoro è riconosciuto e gratificato, in Italia non ci sono spiragli di crescita”

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Riportiamo di seguito la testimonianza di Alberto Barea, infermiere costretto ad emigrare all’estero per sfuggire alla disoccupazione e allo sfruttamento che affliggono l’Italia.

Mi dispiace dirlo, ma purtroppo in Italia la parola “Infermiere” è ancora vista con molti stereotipi, la professione è sottostimata a ruolo subordinato e non ci sono spiragli di crescita professionale”.

Questo è l’amaro commento di Alberto Barea, laureato in infermieristica in Italia, costretto ad emigrare per trovare lavoro. La decisione di lasciare il suo Paese d’origine gli ha permesso di raggiungere il successo professionale e la gratificazione personale: un posto di responsabilità al St George’s Hospital a Londra, la valorizzazione delle proprie competenze e la possibilità di costruirsi una prospettiva di lavoro in proprio.

Alberto ha seguito le orme di Simone Speggiorin, il medico passato dall’essere precario in Italia a diventare il più giovane primario di cardiochirurgia nella storia del Regno Unito.

Ecco l’esperienza che Alberto ha raccontato a CorriereUniv, tra soddisfazione personale e rimpianto:

Io ho fatto come lui – esordisce Alberto commentando la storia di Simone Speggiorin – e premetto: io sono un infermiere che si è trasferito a Londra nel 2007.

Da allora ad oggi, sono diventato il coordinatore del personale infermieristico del dipartimento di dermatologia del St George’s hospital e dopo vari corsi universitari sono stato promosso a “Clinical Nurse Specialist” (Specialista Clinico Infermiere); effettuo settimanalmente chirurgia dermatologica (biopsie, rimozione di nei e tumori della pelle) e faccio training ai medici specializzandi.

Tanto per aggiungere qualche anno di luce in più dall’Italia: il mio lavoro è completamente indipendente, ho appena terminato un master (finanziato dall’ospedale) che mi permette di prescrivere farmaci come un medico, effettuo il monitoraggio di terapie sistemiche ad alto rischio di tossicità e, tra le altre attività, ho effettuato un corso al Royal Society of Medicine per somministrare il botulino e sto progettando di aprire una piccola attività di medicina estetica (a proposito, qui la partita IVA me la sono aperta con una telefonata di cinque minuti!).

Devo dire che anche qui a volte la gente è incredula quando spiego la mia attività lavorativa: a volte mi scambiano per una sorta di “chirurgo plastico”, quando invece qui in UK gli infermieri hanno semplicemente la possibilità di scalare diversi livelli di carriera e competenza con un riconoscimento economico che all’apice può raggiungere 6000 euro netti mensili.

Mi dispiace dirlo, ma purtroppo in Italia la parola “Infermiere” è ancora vista con molti stereotipi, la professione è sottostimata a ruolo subordinato e non ci sono spiragli di crescita professionale.

Eppure – conclude Alberto – la nostra formazione e le nostre qualità fanno eccellenza all’estero.”

Ringraziamo il collega Alberto Barea per aver condiviso il racconto della propria esperienza lavorativa con i lettori di Nurse Times.

Simone Gussoni

Fonti: corriereuniv.it

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