Tratto da quotidiano sanità.
Le prime conclusioni dell’indagine della Commissione Igiene e Sanità smontano il postulato assoluto impostoci negli ultimi tempi. E cade così la pretesa che fino ad ora ha giustificato e continua a giustificare i tagli lineari del governo
Se “rilevante” significa qualcosa di grande significato per il contesto sanitario in cui ricorre, allora devo confessare la mia difficoltà crescente a far fronte alle tante “rilevanze” che ormai si impongono quotidianamente alla nostra discussione. Le rilevanze sono tante per cui si è sempre nell’imbarazzo di scegliere rilevanze tra rilevanze.
La prima è il draft che sintetizza “l’indagine sostenibilità” del Senato (QS 25 febbraio) con il quale (finalmente) mi sento in sintonia almeno nelle sue linee essenziali e che per molti versi ritengo diverso dall’indagine analoga della Camera (Qs 17 luglio 2014).
Le diversità sono tante, ma la più importante è considerare, come ho sostenuto in questi anni fino a spolmonarmi, la sostenibilità non è un postulato assoluto e imperativo ma semplicemente una categoria di pensiero“relativa al sistema che si ha cioè se non vi fosse la corruzione, la disorganizzazione, le diseconomie, la sanità sarebbe a parità di risorse super sostenibile”. (QS 24 luglio 2014).
La ridefinizione del concetto di sostenibilità del Senato ha molte conseguenze importanti:
- cade la pretesa che fino ad ora ha giustificato e continua a giustificare i tagli lineari del governo;
- si afferma l’idea che la sostenibilità, (che se presa alla lettera come ho detto tante volte vuol dire altro tipo di sviluppo sanitario), è una funzione che varia in relazione ai suoi argomenti f (x…);
- finalmente si mettono al centro delle politiche i legami che esistono tra la sostenibilità e tutte le tante variabili costitutive ed interdipendenti del sistema sanitario (governabilità, organizzazione dei servizi ,allocazione delle risorse, politiche del lavoro, ecc.) .
Ma se questa è l’idea corretta di sostenibilità cambia, anche, il ruolo e la responsabilità di chi governa le sue variabili, cioè dei veri determinanti di sostenibilità, e che in ragione di ciò possono decidere che un sistema sanitario sia relativamente sostenibile o relativamente insostenibile. Cioè cambia il ruolo delle Regioni e delle aziende. Se la sostenibilità è un prius assoluto Regioni e aziende sono le vittime dei tagli lineari ma se la sostenibilità è una qualità relativa che coemerge da come si governa un sistema, in questo caso i limiti delle Regioni e delle aziende diventano la causa implicita dei tagli lineari (si veda il dossier Agenas sulla spesa sanitaria regionale, QS 1 marzo 2014).
Il governo Renzi come il governo Monti considera ancora oggi la sanità insostenibile soprattutto perché non si fida delle Regioni. Questo rende ancor più grottesca e ridicola l’intesa che le Regioni hanno sottoscritto con il governo sulla riduzione del FSN perché è come se avessero controfirmato una accusa di incapacità politica accettando il taglio al fsn come una giusta punizione.
La seconda cosa rilevante riguarda la questione delle liberalizzazioni e questo strabordante e impressionante senso comune (al quale si è felicemente sottratta Sel e Scelta civica…complimenti ) tutti uniti a dire, che i farmaci di fascia C debbano restare in farmacia e che le “catene” snaturerebbero la natura di servizio della farmacia. Per favore…a tutto c’è un limite…ma di cosa stiamo parlando? Il farmaco di fascia C è sotto la potestà scientifica di una prescrizione medica e di una distribuzione la cui qualità è garantita dal farmacista sia che avvenga in una farmacia, in una parafarmacia o come in Usa in un supermercato. L’unico danno che i farmaci di fascia C provocherebbero se uscissero dalla farmacia è al bilancio dei loro titolari che guadagnerebbero di meno…svantaggio compensato ampiamente dai vantaggi occupazionali che si avrebbero perché molti farmacisti disoccupati potrebbero lavorare.
Quanto alla natura della farmacia….mi chiedo in cosa consiste questa natura…quello che vedo è una tendenza smodata della farmacia ad allargare il concetto di farmaco….a qualsiasi cosa abbia un prezzo …e un plus valore…per guadagnarci sopra fino a configurare spesso la farmacia non un servizio ma uno “spaccio”…o se preferite uno “store” in cui si vende praticamente di tutto. Trovo discutibile che tutta la sanità si muova nella logica interconnessionale delle “catene” per risparmiare e funzionare meglio (area vasta per gli acquisti, reti di servizi, integrazione tra ospedale e territorio, hub spoke ecc) e la stessa logica non si possa applicare alle farmacie.
Per favore…è come se dicessi che mettere gli ospedali in rete snaturerebbe l’ospedale! Credo invece che i criteri di economia di scala che sono insiti al discorso delle catene possano dare dei vantaggi soprattutto sul piano dei prezzi, dei costi distributivi e ancora sul piano occupazionale. Chi ci rimette è chi non vuole competere perché dovrebbe rinunciare al protezionismo dello Stato che sino ad ora gli ha garantito dei bei fatturati a rischio zero.
La terza cosa rilevante è al limite della barzelletta e riguarda le giuste reazioni degli infermieri e delle loro rappresentanze alle intenzioni di Rossi il presidente della Toscana, di sostituire gli infermieri con gli Oss. Anch’io e l’ho scritto (QS 25 febbraio 2015) sono contro l’uso dissennato della vicarianza professionale per sfruttare il lavoro più conveniente, ma sono contro la vicarianza dissennata e lo sfruttamento in quanto tale. Ecco perché il costo zero alla base del comma 566 non riesco proprio a digerirlo. Cioè per me non esistono figli e figliastri. Tutte le professioni sono valori da preservare e da sviluppare in un progetto coevolutivo.
Per l’Ipasvi invece che non ha progetto e non sa dove mettere le mani per applicare integralmente una legge di 16 anni fa (L.42) e un’altra di 9 anni fa (L.43) è giusto “rubare” ad altre professioni delle competenze ma nello stesso tempo non è giusto che le proprie competenze siano a loro volta “rubate” da professioni più convenienti. Possibile mai che non si capisca che il comma 566 fortemente voluto dall’Ipasvi espone tutte le professioni a delle manipolazioni perché apre la strada ad un metodo che scomponendo le professioni in mansioni le alloca con maggiore flessibilità nelle operazioni di riduzione, di accorpamento e di accentramento dei servizi?
Possibile mai che la senatrice Silvestro, che mi si dice, sia pronta a ricandidarsi alla presidenza Ipasvi per l’ennesima volta, non riesca a collegare a tutela della sua professione, riordino, demansionamento e 566 e decapitalizzazione del lavoro? Ma davvero lei pensa che le Regioni vogliono riconoscere agli infermieri delle competenze avanzate togliendole ai medici, in funzione, come dice lei, dell’upgrading? Possibile mai che la presidente Ipasvi non intraveda il rischio che si sta correndo di spingere con il suo consenso sconsiderato solo una parte della categoria infermieristica verso la specialistica lasciando il resto, cioè la parte più cospicua, in balia del mercato boario del demansionamento? Presidente…con tutto il rispetto ma delle due…l’una…o ci fa o ci è.
Ivan Cavicchi
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