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La presidente Mangiacavalli ai media: non confondete la nostra professione

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Da qualche tempo gli infermieri iscritti a questa Federazione sono oggetto di errori mediatici che suscitano grande imbarazzo e risentimento nei professionisti: il termine “infermiere” è utilizzato a vario titolo per indicare operatori di altre professionalità che compiono atti e, spesso, illeciti o reati di varia natura. In sostanza negli ospedali (ma anche nei servizi sanitari sul territorio), sembrano esistere solo due categorie professionali da citare per i media: medici e infermieri.

Il principale fraintendimento dei mezzi di comunicazione avviene quando si utilizza la qualifica di infermiere, attribuendola erroneamente a personale ausiliario, a operatori sociosanitari o a operatori tecnici dell’assistenza e per questo scrivo a Lei in quanto responsabile di ciò che da essa viene diffuso, per tentare di scongiurare – anche se la testata da Lei diretta non fosse mai incorsa in questo errore – ulteriori pestaggi mediatici nei confronti di professionisti che, per come operano ogni giorno al fianco dei più deboli, certamente non lo meritano.

I professionisti infermieri chiedono quindi aiuto ai professionisti giornalisti con un fine “preventivo”, che può evitare però agli infermieri di essere indicati come responsabili di comportamenti infamanti anche quando sono estranei ai fatti, cercando così di tranquillizzare la categoria. Ma anche di evitare richieste di rettifica a mezzo stampa che si stanno moltiplicando con effetti spiacevoli sia per i mezzi di comunicazione, dei quali rispettiamo il servizio erogato, la necessità dell’attività e la sua utilità sociale, sia per i nostri professionisti, che hanno come obiettivo della loro attività la tutela della salute dei pazienti, soprattutto di quelli sempre in aumento: anziani, non autosufficienti, cittadini affetti da patologie croniche e, in generale fragili, con esigenze di continuità assistenziale e di lunghe terapie che vanno al di là dell’intervento in fase acuta, di diagnosi e di prima terapia.

Perciò cerchiamo in poche righe di spiegare la differenza esistente tra la professione di infermiere e le altre attività con cui questa è troppo spesso confusa. Certi naturalmente che nessuno, con buon senso, utilizzi la qualifica per indicare genericamente altri professionisti (le professioni sanitarie riconosciute dalla legge oltre quella dell’infermiere sono altre 21) che operano in ospedali e strutture pubbliche e private.

Gli infermieri da quindici anni ormai sono laureati (in base alla legge 251/2000 – Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica) e dal 2004 conseguono la laurea specialistica in Infermieristica (5 anni) per poter operare come responsabili esclusivi dell’assistenza sanitaria. Possono frequentare master e corsi di specializzazione e avere incarichi di direzione di strutture anche complesse (in analogia, per essere chiari, a quelli attribuiti nella professione medica ai primari). Hanno, in base alla legge 43 del 2006, obbligo di iscrizione all’Albo professionale per poter esercitare la professione e garantire la tutela e la qualità del loro operato dal punto di vista clinico-manageriale, ma anche etico e morale.

Si occupano dell’assistenza al paziente e gli danno supporto nell’esecuzione della terapia e sostegno per innalzare dal punto di vista clinico la sua qualità di vita, accrescere le possibilità di guarigione e di benessere, creare un ambiente che aiuti a diminuire la sofferenza e il deterioramento anche grazie a un loro ruolo di educatori sanitari. L’ausiliario è invece una figura “a esaurimento”, quindi destinata a uscire dagli organici sanitari, che si occupa delle esigenze di igiene ambientale, fattorinaggio e trasporto pazienti su indicazione del coordinatore infermieristico.

L’operatore sociosanitario (Oss) è una figura di supporto sanitario, non è una professione sanitaria e, avendo caratteristiche specifiche di collaborazione e ausilio in ambito assistenziale, nello svolgimento della sua attività non ha potere decisionale e si attiene alle indicazioni e prescrizioni dell’infermiere che ne è il responsabile diretto. Il suo compito è, anche in questo caso, svolgere attività che aiutino le persone a soddisfare i bisogni di base (mangiare, lavare, vestire, movimentazioni ecc.).

L’operatore tecnico dell’assistenza (Ota) svolge la propria attività in ambito alberghiero, di pulizia e manutenzione di utensili, apparecchi, presidi usati dal paziente e dal personale medico e infermieristico per l’assistenza al malato e, sotto le direttive dell’infermiere, compie atti di accudimento semplici al malato. L’Ota opera sotto la diretta responsabilità dell’infermiere coordinatore o, in assenza di questo, dell’infermiere responsabile del turno di lavoro. Come vede da queste brevi note, quindi, siamo di fronte a fraintendimenti che minano alla base l’immagine di una categoria professionale riconosciuta dalla legge come professione intellettuale, con obblighi di educazione medica continua inesistenti per le altre attività e che sono la condizione per il proseguimento stesso dell’attività professionale. Per usare un termine di paragone già utilizzato di recente, confondere un infermiere con un’altra di queste figure è un po’ come confondere un bidello con un docente.

Comunque, per rendere più semplice eventuali verifiche sulla professionalità degli operatori sanitari ai quali è necessario fare riferimento per il loro legame a fatti di cronaca, la nostra Federazione mette anche a disposizione la possibilità di verifica immediata di iscrizione all’albo, senza la quale l’operatore non si può definire infermiere. E’ sufficiente per questo accedere al sito della nostra Federazione (www.ipasvi.it), poi alla voce “Chi siamo” e, quindi “Ricerca albo”: la maschera che compare consente di inserire nome e cognome (e anche l’eventuale Collegio di appartenenza che corrisponde alla Provincia) della persona e controllare così istantaneamente se è o non è davvero un infermiere.

E’ evidente il danno di immagine che deriva da una generalizzazione di definizione per la professione infermieristica, apprezzata e ben conosciuta dai pazienti, non certo nella forma negativa che spesso emerge per colpa di terzi estranei. Pazienti che, per garantire dignità alla loro vita di tutti i giorni, si rivolgono all’infermiere e non ad altre figure che con questo nulla hanno a che fare. Sono certa che comprenderà la necessità di questo chiarimento e Le chiedo collaborazione per evitare il ripetersi di tali situazioni e per poter tranquillizzare la categoria di cui faccio parte, lasciando agli infermieri la necessaria serenità nell’attività quotidiana in cui si prendono cura dei pazienti e la certezza che questi li riconoscano per quel che sono e non li guardino con un sospetto legato in realtà all’agire di altre figure non controllate, non responsabili e che noi, come Collegi professionali, non possiamo neppure sanzionare.

Barbara Mangiacavalli

Presidente nazionale Federazione Collegi Ipasvi

Fonte: www.ipasvi.it

 

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