Dalle Nazioni Unite dieci proposte per migliorare la situazione.
Solo attraverso una copertura sanitaria universale sarà possibile venire a a capo della pandemia. Lasciando indietro chi non può permettersi le cure, al contrario, si riflette sulla salute di tutti. Ma per imboccare la srrada giusta servono però più infermieri: secondo i calcoli delle Nazioni Unite, forniti nel rapporto State of the World’s Nursing, ne mancherebbero quasi 6 milioni nel mondo, in particolare nelle nazioni più povere.
Per far fronte alla carenza entro il 2030 in tutti i Paesi il numero totale di laureati infermieri dovrebbe aumentare in media dell’8% all’anno, insieme a una migliore capacità di assumere e trattenere i laureati stessi. Senza questo aumento, le tendenze attuali indicano 36 milioni di infermieri entro il 2030, con carenze principalmente nelle regioni africane, del Sudest asiatico e del Mediterraneo orientale.
La scadenza del 2023 – In realtà, prima del 2030 c’è un’altra scadenza dietro l’angolo: il 2023. Parliamo del Triple Billion Target, il tredicesimo programma generale di lavoro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (GPW13), che ruota intorno a tre obiettivi da raggiungere entro il 2023: un miliardo di persone in più beneficiarie di copertura sanitaria universale; un miliardo di persone in più protetta dalle emergenze sanitarie; un miliardo di persone in più che vedono migliorare il proprio stato di salute e benessere. Mica uno scherzo.
Gli infermieri sono oggi il 60% della forza lavoro del sistema sanitario: 27,9 milioni di professionisti, 4,7 milioni in più nel periodo 2013-2018 rispetto al quinquennio precedente. Non sono abbastanza, però, alla luce degli obiettivi che ci siamo fissati per il 2030 (e per il 2023) circa la copertura sanitaria universale, e non sono ben distribuiti. Oltre l’80% degli infermieri nel mondo si trova in Paesi che rappresentano la metà della popolazione mondiale. Il 90% degli infermieri che mancano dovrebbero trovarsi nei Paesi a basso e basso reddito, dove la crescita nel numero di infermieri è appena al passo con la crescita della popolazione.
L’infermiere è ancora una professione di genere. Circa il 90% della forza lavoro infermieristica nel mondo è di sesso femminile, ma sono poche le posizioni di leadership ricoperte da infermiere. Per non parlare del divario retributivo basato sul genere. Solo poco più di un terzo dei Paesi (37%) ha segnalato misure in atto per prevenire la violenza contro gli operatori sanitari. 82 Paesi su 115 (il 71%) hanno riferito di avere una posizione di leadership infermieristica nazionale, con la responsabilità di fornire contributi alla politica infermieristica e sanitaria.
E in Italia? – Il profilo dell’Italia dello State of the World’s Nursing parla di 332.182 infermieri professionali nel 2017, il 47% di tutta la forza lavoro sanitaria, per un totale di 12.117 nuovi laureati l’anno. Dati più dettagliati provengono dal Rapporto OASI 2019 di CERGAS-Bocconi. Nel 2017, in Italia, si contavano 5,6 infermieri per 1.000 abitanti, contro i 17,5 della Norvegia, i 17 della Svizzera e i 14,3 della Finlandia. La Grecia, la Polonia e la Spagna registrano il numero più basso di infermieri (rispettivamente 3,3, 5,2 e 5,5 ogni mille abitanti). Osservando il rapporto tra infermieri e medici, Grecia, Portogallo, Austria, Italia e Spagna presentano la quota più bassa: rispettivamente 0,5, 1,3, 1,3, 1,4 e 1,4 infermieri per medico.
Le 10 proposte delle Nazioni Unite per migliorare le cose:
1. I Paesi dove la carenza di infermieri è maggiore dovranno aumentare i finanziamenti per la formazione di nuovi professionisti. Si stima che ulteriori investimenti nell’educazione infermieristica siano dell’ordine di 10 dollari pro capite nei Paesi a basso e medio reddito.
2. Dobbiamo rafforzare la capacità di raccolta, analisi e utilizzo dei dati sulla forza lavoro sanitaria.
3. La mobilità e la migrazione degli infermieri devono essere monitorate in modo efficace e gestite in modo responsabile ed etico.
4. I programmi di istruzione e formazione degli infermieri devono formare persone in grado di guidare i progressi nell’assistenza sanitaria di base e nella copertura sanitaria universale.
5. Potenziare il ruolo dell’infermiere nelle strutture di leadership e di governance sanitaria, anzitutto con appositi programmi di istruzione: l’infermiere non può più essere soltanto un operatore.
6. Coinvolgere la forza lavoro infermiera nella formazione su quali sono gli obiettivi strategici in termini di salute pubblica all’interno della realtà in cui operano.
7. Garantire lavoro dignitoso per gli infermieri: un ambiente favorevole e sicuro, con sforzi speciali dedicati agli infermieri che operano in ambienti fragili, colpiti da conflitti e vulnerabili. La remunerazione dovrebbe essere equa e adeguata per attrarre, trattenere e motivare gli infermieri.
8. Garantire una gender-equity nelle assunzioni: i Paesi dovrebbero deliberatamente pianificare politiche di personale infermieristico sensibili al genere, garantendo l’applicazione di queste norme, per esempio, sul divario retributivo di genere, anche al settore privato.
9. Snellire la burocrazia per le assunzioni, creando sistemi interoperabili che consentano ai regolatori di verificare facilmente e rapidamente le credenziali degli infermieri.
10. La collaborazione fra organi istituzionali è la chiave per raggiungere questi obiettivi: un dialogo intersettoriale, che può essere guidato dai ministeri della Sanità con il coinvolgimento di altri ministeri competenti (come istruzione, immigrazione, finanza, lavoro) e delle parti interessate del settore pubblico, associativo e privato.
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Sole 24 Ore
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