Lo studio condotto dall’Università di Roma Tor Vergata assieme all’Università di Bari Aldo Moro si è posto come obiettivo quello di indagare il vissuto esperienziale del personale infermieristico che ha lavorato presso i reparti COVID durante la prima ondata.
Gli autori dello studio sono stati: la Dott.ssa Paola Arcadi (dottoranda Università degli Studi di Roma Tor Vergata); la Dott.ssa Valentina Simonetti (Università delle Marche), dott.ssa Rossella Ambrosca (dottoranda Università degli Studi di Roma Tor Vergata), Dott. Giancarlo Cicolini (ricercatore Università di Bari Aldo Moro), dott. Silvio Simeone (assegnista di ricerca Università degli Studi di Roma Tor Vergata), dott. Gianluca Pucciarelli (assegnista di ricerca Università degli Studi di Roma Tor Vergata), Prof.ssa Rosaria Alvaro (Ordinario MED/45), Prof. Ercole Vellone (Associato MED/45) e dott.ssa Angela Durante (Assegnista di ricerca Università degli Studi di Roma Tor Vergata).
Tutti i partecipanti allo studio hanno raccontato sentimenti di incertezza e paura, vissuti come prevalenti nella loro esperienza durante la pandemia. Incertezza e paura si sono manifestati con dirompenza sin dai giorni iniziali del contagio, nei quali il disorientamento per una situazione mai vissuta prima si è accompagnato alla paura dell’ignoto e da un senso di inadeguatezza e di impotenza.
Sentimento comune a tutti è la paura del contagio, sia per sé stessi, sia soprattutto per le persone care.
Il tema del tempo ha occupato uno spazio importante nei significati emersi dalle interviste effettuate. Dalle loro parole si estrapola un comun denominatore, riassumibile in questa affermazione: “c’è un prima e c’è un dopo”. Il virus ha infatti agito da spartiacque tra la realtà vissuta prima dell’impatto con la pandemia e quanto accaduto durante il periodo di maggior contagio.
Viene vissuto un tempo sospeso, in cui l’attenzione è rivolta al presente, con uno sguardo incerto sul futuro. In questa dimensione temporale, gli spazi e i tempi della cura sono scanditi dai turni estenuanti e dalle complesse procedure di vestizione e svestizione; che diventano la metafora della fatica fisica a cui gli infermieri sono sottoposti
Le esperienze che gli infermieri ci hanno consegnato sono ricche di significati su come il virus e le conseguenze del contagio hanno influenzato i principali paradigmi di riferimento della cura per la professione infermieristica.
COVID 19 ha anzitutto messo ciascuno di fronte all’ineluttabilità della morte. I partecipanti raccontano una morte vissuta in solitudine, senza l’affetto e la consolazione dei propri cari, spogliata dalla dignità e; al contempo, riempita di vicinanza e di presenza esclusiva dei curanti.
Gli infermieri hanno assunto il ruolo di tramite per i famigliari in ogni momento della malattia e del ricovero; realizzando pienamente la funzione di advocacy e fungendo da principale punto di riferimento durante il regime di isolamento dei pazienti.
I gesti di cura compiuti dagli infermieri oltrepassano la distanza di protezione. Si realizzano soprattutto attraverso lo sguardo, il tocco di una mano, una parola di aiuto o di conforto; e vengono riconosciuti come i principali elementi di valore nella cura, nonostante le barriere.
La pandemia ha provocato uno sconvolgimento degli assetti organizzativi e professionali ordinari.
Da una parte, l’esperienza maggiormente positiva che emerge dalle interviste riguarda soprattutto la relazione con i colleghi. Il trovarsi tutti ad affrontare una situazione nuova, ha messo in evidenza uno spirito di coesione e una solidarietà reciproca mai vissuti prima. Gli infermieri hanno trovato nel gruppo professionale sostegno e conforto, grazie al quale sono riusciti a dare un senso alle fatiche fisiche e psicologiche vissute nei mesi più difficili della pandemia.
I perimetri delle competenze, così come i confini tra le professioni si sono sfumati; ciascun professionista si sentiva parte di un gruppo con il quale condivideva linguaggi, codici e obiettivi comuni, indipendentemente dalla storia di ognuno, dalle funzioni e dai ruoli ricoperti.
Di contro, dai significati estrapolati emerge un vissuto di abbandono da parte del management e dall’organizzazione, dovuto alla mancanza di linee di indirizzo chiare, al caos organizzativo, alla mancanza di dispositivi di protezione individuale adeguati, soprattutto nel primo periodo del contagio.
Gli infermieri vivono lo spirito di servizio e un’identità professionale che si allontana da quell’idea di “eroe” con cui si sono sentiti identificati dal mondo, e che si riveste di quella competenza che è sempre stata spesa, anche prima della pandemia.
Si riporta il link dello studio
Cillis Michele
Fonte: Pubmed
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