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Il ruolo fondamentale del cambiamento nella soddisfazione professionale

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Burnout, gli infermieri che ne soffrono sono soggetti a errori
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In un mondo perfetto e utopico, ciascuno di noi dovrebbe svolgere un lavoro che ama e gli permetta di sentirsi realizzato.

La realtà invece è un po’ diversa, lo sappiamo tutti, per i meccanismi della società occidentale in cui viviamo siamo sempre più spesso costretti a fare qualcosa che non ci piace per avere uno stipendio e far fronte a tutte le necessità personali e della propria famiglia.

Ogni individuo, durante la sua esistenza, si trova di fronte a situazioni, siano esse volute o non, che lo portano ad attuare delle scelte, e sono proprio le azioni che compiamo ogni giorno ad essere legate a motivazioni intrinseche ad ognuno di noi. Le motivazioni da sole non bastano a chiarire il motivo per il quale scegliamo di rimanere in un luogo di lavoro per tutta la vita.

E’ difficile pensare che l’infermiere svolga questo ruolo complesso e che contribuisca come richiesto alla soddisfazione dei clienti se non è sufficientemente soddisfatto del proprio lavoro, cioè se la qualità della sua vita lavorativa non è adeguata. Un criterio indispensabile, infatti, è quello della soddisfazione lavorativa, dato che motivazione e soddisfazione sono due termini che vanno di pari passo soprattutto con l’avanzare dell’età, anche se il giovane, che da poco è entrato nel mondo del lavoro, ha una forte necessità di trovare un compromesso tra “essere motivato” ed “essere soddisfatto” .

Tutte le azioni che vengono compiute ogni giorno sono semplicemente legate a motivazioni intrinseche, il più delle quali non sono nemmeno prese in considerazione; ma tutte queste azioni, dalle più banali e scontate alle più difficili e meditate, sono in qualche modo indirizzate da noi stessi al soddisfacimento di bisogni e necessità che l’uomo ha per tutta la durata della sua vita. Osservando il comportamento umano si può intendere che tutte le azioni che compiamo siano in una certa maniera guidate da due impostazioni: gli scopi, ossia ciò a cui si tende, a cui si vuole giungere, a cui si indirizzano le proprie azioni, i propri sforzi, ed i risultati a cui si punta per raggiungerli.

Analizzando poi più nello specifico si possono ricercare le motivazioni, ossia “ogni fattore dinamico del comportamento, che indirizza le attività dell’organismo verso uno scopo”. Non si può quindi pensare ad un individuo che viva la sua esistenza senza motivazioni, poiché sarebbe un essere apatico, abulico e senza nessuna spinta all’esistenza. Le motivazioni sono regolate da forze interne all’individuo, che dall’esterno possono solo essere alimentate o sollecitate affinché si sviluppino.

La scala che misura l’intensità della soddisfazione sul posto di lavoro (Hackman, Oldham 1980) aiuta ad esplicitare i cinque aspetti di questo concetto che sono:

  • Retribuzione;
  • Sicurezza sul posto di lavoro;
  • Rapporti sociali;
  • Supervisione;
  • Crescita personale.

Ci si pone spesso delle domande: quanto, nella realtà odierna, è importante la motivazione in una professione? Analizzando il carico di lavoro di un infermiere in un contesto ospedaliero, cosa  necessita per continuare nel corso degli anni a svolgere in maniera professionale il suo lavoro? Quanto contano i fattori intrinseci all’individuo, la sua voglia, la sua propensione alla professione? Quanto contano invece i fattori esterni all’individuo, come il luogo di lavoro, i colleghi, i superiori, la struttura organizzativa del reparto? Cosa si può mettere in atto per evitare la demotivazione e la conseguente perdita del senso della professione infermieristica?

La professione infermieristica è sempre stata associata alla condizione di aiuto, basata sui concetti di aiutare, prendersi cura e assistere la persona; inoltre si possono elencare diverse caratteristiche proprie del ruolo sociale dell’infermiere come l’interesse verso la professione, il rispetto verso chi ha bisogno di aiuto e la detenzione di conoscenze e competenze aggiornate.

Con il DM 739/94 viene riconosciuto formalmente il profilo professionale dell’infermiere, che lo rende il “responsabile dell’assistenza infermieristica”, garantendo il possesso di un diploma abilitante e dell’iscrizione ad un albo professionale. La Legge 42/99 fa compiere un ulteriore passo avanti, abrogando il termine “ausiliario” ed il mansionario , ed istituendo un codice deontologico, aprendo in tal modo la strada verso un’autonomia non solo pratica ma intellettuale della figura infermieristica.

Autonomia che verrà sancita in seguito con la legge 251/00, ove si richiamano gli operatori delle professioni sanitarie a “svolgere attività dirette alla prevenzione, cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché degli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza”.

Elemento fondamentale nella gratificazione professionale è il supporto organizzativo. Eisenberger definisce il supporto organizzativo come ciò che il dipendente percepisce di quanto l’organizzazione sia attenta a valutare i contributi dati dai lavoratori ed il loro grado di benessere. Perciò più alto sarà il supporto percepito dal lavoratore, più alto sarà il suo “ritorno” inteso come prestazione lavorativa, poiché si sentirà in dovere di dare il meglio di sé all’azienda che si prende cura di lui.

In ambito infermieristico il supporto organizzativo è fondamentale nelle situazioni di turnover, burnout, e soddisfazione lavorativa, da cui si evince come il lavoro dei coordinatori infermieristici sia in qualche modo determinante per la qualità del lavoro offerto in reparto. Il turnover consiste nell’abbandono volontario o involontario del posto di lavoro da parte del lavoratore.

Nello studio di Ambrosi et al.  vengono considerati vari aspetti che portano al turnover tra gli infermieri, che sono la ridotta percezione di competenza professionale, la ridotta percezione di supporto organizzativo ed il ridotto coinvolgimento lavorativo. L’insoddisfazione lavorativa, data dal contenuto delle attività, il carico di lavoro troppo pesante, le scarse possibilità di carriera e la scarsa autonomia, gioca un ruolo fondamentale per quanto riguarda l’intenzione al turnover, soprattutto nei soggetti giovani o negli infermieri part-time (Cortese 2013).

Le conseguenze del turnover possono essere suddivise in tre differenti livelli di impatto sull’organizzazione ospedaliera:

  • Infermieri rimasti in reparto: il turnover diminuisce il benessere e la soddisfazione di chi rimane poiché si deve sostenere un maggior carico di lavoro, cosa che porta rapidamente ad una minor soddisfazione lavorativa e un maggior rischio di burnout.
  • Pazienti: il turnover impatta negativamente sulla capacità di soddisfare a pieno i bisogni dei pazienti e di fornire un’assistenza qualitativamente elevata. Esiste la possibilità di un aumento degli errori e, dovendo gli infermieri assistere più pazienti, si determina un peggioramento delle loro condizioni cliniche.
  •  Impatto economico: per l’azienda sanitaria ci sarà una perdita di produttività e un costante investimento di fondi per la selezione e formazione di nuovi assunti.

Una conseguenza di tutto ciò è il burnout. Il termine burnout, specifico delle “helping profession” e traducibile in italiano con «bruciato», «esaurito», «scoppiato», è una sindrome caratterizzata da tre sintomi o fattori particolari, inizialmente identificati e misurati, attraverso l’utilizzo di strumenti psicometrici come la Maslach BurnOut Inventory (MBI) ed è definita come condizione caratterizzata da esaurimento emotivo (esaurimento delle risorse e diminuzione dell’energia), depersonalizzazione (atteggiamenti e sentimenti negativi, insensibilità e mancanza di compassione) e mancanza di realizzazione personale (valutazione negativa del proprio lavoro relativo a sentimenti di competenza ridotta) .

Purtroppo anche le continue aggressioni, minacce e molestie che si verificano presso le strutture sanitarie a danno degli operatori sanitari influiscono all’insorgenza del burnout. Cosa che sta accadendo recentemente, molto spesso, nelle strutture sanitarie. Tra tutti gli operatori sanitari, gli infermieri sembrano quelli maggiormente esposti perché a diretto contatto con il paziente e perché devono gestire rapporti caratterizzati da una forte emotività con soggetti che si trovano in uno stato di frustrazione, vulnerabilità e perdita di controllo.

Purtroppo negli ultimi dieci anni i comportamenti aggressivi verso infermieri e personale sanitario sono notevolmente aumentati e i servizi socio-sanitari che devono rispondere per contenerli e trattarli, si trovano impreparati ad affrontarli in maniera appropriata, soprattutto per l’inadeguatezza delle strutture e dei mezzi a disposizione. La letteratura ci dice che dopo episodi di violenza gli operatori sanitari riportano una diminuita performance lavorativa per tutto il resto della settimana lavorativa; hanno paura dei pazienti; diminuisce la soddisfazione lavorativa, aumenta l’assenteismo e i trasferimenti. Inoltre dopo esperienze di aggressione fisica e verbale, molto frequentemente gli infermieri riportano sentimenti di rabbia, di frustrazione, incredulità, insicurezza e vergogna, associati ad alcuni effetti quali flashbacks, insonnia e, nei casi più gravi, depressione.

Il coinvolgimento emotivo che si viene a creare con il paziente ha ricadute sugli operatori che tendono a percepire il fallimento della cura, come un fallimento personale. Senza dubbio per il professionista sanitario lo stare accanto ai pazienti è si gratificante, ma anche molto faticoso. Il confronto continuo con la sofferenza può diventare insostenibile, poiché comporta un grande impegno dal punto di vista emotivo; inoltre le richieste di assistenza sempre maggiori, dovute ai contesti organizzativi sempre più complessi, possono indurre gli operatori sanitari a innalzare delle vere e proprie barriere difensive tra loro e il paziente. Come conclusione ”si spegne ogni passione”.

Se si accetta un cambiamento il risultato sarà un ambiente di lavoro, positivo e confacente il grado di professionalità, acquisito dapprima mediante la legislatura, ed in seguito arricchito di strumenti che hanno il compito di far crescere sotto vari aspetti il professionista sanitario. Si vuole sottolineare come il coordinatore infermieristico sia una figura di vitale importanza nel contesto lavorativo, mediante il suo apporto non solo situazionale ma anche motivazionale. Attraverso il suo ruolo infatti, egli ha la capacità di gestire un equipè di infermieri che andranno ad operare in modo coeso e professionale, cosa che molto spesso non accade.

Dallo studio di Gillet et al. si deduce che l’ascolto da parte dei coordinatori infermieristici dei bisogni dei propri infermieri porterebbe ad un incremento della motivazione, poiché la condivisione dei propri valori personali all’organizzazione sanitaria creerebbe una visione lavorativa da parte del personale più significativa, inducendo ad essere più autonomi e più intrinsecamente motivati.

Da tenere in considerazione il fatto che naturalmente il coordinatore non può focalizzare l’attenzione sul singolo, ma considerare il “gruppo”, enfatizzando il clima lavorativo, le opportunità di crescita, l’utilizzo di abilità per aumentare autonomia e decisioni. Solo così potremo migliorarci e andare avanti , infatti il cambiamento è la legge della vita. Quelli che guardano solo al passato o al presente, sicuramente perderanno il futuro (J.F. Kennedy).

Dott.ssa Monica Cardellicchio

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