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Il grasso che ripara: innovativo protocollo del Policlinico Gemelli per trattare fistole e ferite difficili

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Il grasso che ripara: innovativo protocollo del Gemelli per trattare fistole e ferite difficili
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Si tratta di una prima mondiale. I risultati sono stati pubblicati su Gastroenterology.

Sfruttare la vocazione “rigenerativa” del tessuto adiposo del paziente per riparare le fistole dell’apparato gastro-intestinale. E’ questa la chiave di un protocollo inedito messo a punto al Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e utilizzato con successo finora su una trentina di pazienti.

Il trattamento delle fistole digestive continua a essere lungo e complesso. Un nuovo metodo messo a punto al Gemelli, l’autotrapianto di frazione stromale da tessuto adiposo purificato autologo, al contrario, si è dimostrato invece di rapida attuazione, low cost e sta funzionando anche dove altre metodiche più sofisticate falliscono.

Il progetto è nato da un’intuizione del dottor Venanzio Porziella e della dottoressa Dania Nachira, UOS di Chirurgia Esofagea – UOC di Chirurgia Toracica, ed è stato messo a punto con il dottor Angelo Trivisonno, chirurgo plastico esperto nell’estrazione e lavorazione del grasso, e il dottor Ivo Boskoski, UOC Endoscopia Digestiva Chirurgica del Gemelli e Ricercatore in Gastroenterologia, Università Cattolica.

La tecnica sfrutta la componente cellulare mesenchimale del tessuto adiposo del paziente stesso e del suo secretoma, una vera e propria farmacia di molecole antinfiammatorie, immunomodulanti e riparatrici presenti tra le cellule. Il prelievo del grasso, la sua purificazione e l’impianto avvengono tutti nella stessa seduta di sala operatoria, che dura circa un’ora e mezza. I risultati si vedono spesso dopo appena una-due settimane.

Il primo lavoro scaturito da questa esperienza, pubblicato su Gastroenterology, è stato inserito nel 2022 nella top ten delle innovazioni tecnologiche e metodologiche dell’anno per novità, importanza e impatto clinico dall’American Society for Gastrointestinal Endoscopy. Ma per gli autori questo è solo l’inizio di un percorso che si annuncia molto promettente.

L’intuizione fortunata – “Tutto è iniziato due anni fa con il caso disperato di una cinquantenne, arrivata da noi in consulenza da un altro ospedale – ricorda il dottor Venanzio Porziella, responsabile della UOS Chirurgia Esofagea – UOC di Chirurgia toracica di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e ricercatore in Chirurgia toracica presso l’Università Cattolica, Campus di Roma –. La paziente, durante chemioterapia adiuvante per un tumore del colon, in seguito a episodi di vomito violenti e ripetuti aveva riportato una lacerazione dell’esofago (sindrome di Boerhaave). Il cibo e i batteri del tratto digestivo, fuoriuscendo dal ‘buco’ dell’esofago erano arrivati alla pleura dove avevano prodotto una consistente raccolta di pus (empiema). La donna era in shock settico. Un intervento in urgenza ha permesso di drenare il pus dal cavo pleurico e di posizionare una protesi nell’esofago per chiudere il ‘buco’. Purtroppo, alla rimozione dello stent due mesi dopo, la fistola era ancora lì, pronta a far danno; il giorno stesso della sua rimozione era infatti ricomparsa la sepsi. È allora che insieme alla dottoressa Dania Nachira abbiamo avuto l’idea di fare un tentativo inedito di riparazione, sfruttando la capacità rigenerativa del tessuto stromale adiposo, prelevato dalla stessa paziente”.

Un po’ come mettere una “toppa” nella camera d’aria forata della ruota di una bicicletta, un “mastice vitale” fatto di cellule intelligenti (come staminali mesenchimali del tessuto adiposo) e sostanze in grado di promuovere la riparazione dei tessuti. “Per ottenere questo materiale ‘rigeneratore’ – spiega il dottor Porziella – abbiamo usato la tecnica messa a punto da Angelo Trivisonno. Una volta prelevato il grasso dal fianco del paziente, abbiamo estratto la frazione stromale direttamente in sala operatoria. Quindi, il dottor Ivo Boskosky ha inserito per via endoscopica 2-3 ml di questo composto nella fistola e iniettato in sede sottomucosa altri 1-2 ml lungo tutto il bordo della fistola, creando dei pomfi. L’intervento, durato circa un’ora e mezza, è stato effettuato in anestesia generale. Una settimana dopo il ‘buco’ dell’esofago era sparito”.

La capacità rigenerativa di questo “estratto” di tessuto adiposo è dovuta sia alle cellule stromali (linfociti, ma anche una componente di staminali), sia al secretoma, un insieme di proteine (interleuchine, citochine, ecc) prodotte da queste cellule. È una sorta di autotrapianto, quindi il paziente non corre il rischio di un rigetto. “L’impiego delle cellule mesenchimali da tessuto adiposo a scopo rigenerativo è diffuso – ricorda il dottor Porziella –, ma con la nostra metodica si ottiene una frazione più pura e potente. Rispetto alle procedure di impianto di staminali pure la procedura è semplificata. Non c’è bisogno di una cell factory e l’estratto stromale può essere ottenuto e impiantato nella stessa seduta. Peraltro, a costi prossimi allo zero”.

Il team di ricerca e l’evoluzione del progetto – Da questa esperienza pionieristica è nato un progetto di ricerca all’interno della UOC di Chirurgia Toracica, diretta dal professor Stefano Margaritora, portato avanti dal dottor Porziella (principal investigator), dalla dottoressa Nachira, dal dottor Boskoskie dal dottor Trivisonno, chirurgo plastico esterno.

“Con questa equipe – spiega il dottor Porziella – stiamo trattando pazienti con fistole a tutti i livelli del tratto digerente e non solo, con risultati che non esito a definire entusiasmanti. Finora abbiamo trattato con questo protocollo standardizzato circa 30 casi per fistole post-operatorie dopo esofagectomia, fistole post-diverticolectomia, fistole gastriche dopo sleeve gastrectomy per obesità, fistole anali in persone con malattia di Crohn (in collaborazione con il dottor Angelo Potenza della UOC di Chirurgia Addominale, diretta dal professor Luigi Sofo), fistole retto-vaginali dopo chirurgia ginecologica, fistole retto-vescicali dopo chirurgia del retto, perforazioni spontanee dell’esofago. In genere basta un unico trattamento; la procedura è comunque ripetibile”.

Ma non è tutto. “Sfruttando l’uso compassionevole – prosegue Porziella – abbiamo chiuso una fistola bronchiale, comparsa dopo l’asportazione di un polmone e una deiscenza (riapertura di una ferita in precedenza suturata) sternale da osteomielite su ferita cardio-chirurgica; questo trattamento funziona infatti molto bene in ambiente settico, proprio grazie al secretoma che contiene sostanze immunomodulanti e antinfiammatorie”.

Eccellente la safety del trattamentoIl plus del secretoma – “Questo tipo di prodotto non fa registrare alcun evento avverso – afferma la dottoressa Dania Nachira – perché è totalmente autologo (cioè del paziente stesso) e ha il vantaggio di portare con sé anche tutto il secretoma, cioè la componente antinfiammatoria, immunomodulante e stimolante. Questo fa la differenza con altri prodotti ottenuti presso le cell factory o mediante l’impiego di processi enzimatici che hanno solo la componente cellulare, ma non tutta la parte del secretoma a funzione antinfiammatoria. Per queste caratteristiche, questa sorta di autotrapianto dà ottimi risultati anche in contesti ‘sporchi’, quali l’osteomielite e le fistole anali e perianali da malattia di Crohn. Un altro enorme vantaggio di questo trattamento è di essere davvero rapido e low-cost perché il ‘materiale’ per la riparazione, viene prelevato dal paziente nella stessa seduta operatoria”.

Entrano in gioco gli scaffold stampati in 3D – Ma non finisce qui. Si stanno infatti aprendo nuove prospettive di trattamento. “In collaborazione con Massimiliamo Papi, professore associato di Fisica applicata dell’Università Cattolica e responsabile della Facility di Fisica del G-STeP di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS – rivela il dottor Porziella – abbiamo cominciato a produrre con una stampante 3D degli ‘scaffold’, cioè impalcature di biopolimeri riassorbibili, realizzati su misura per la fistola del paziente; nei casi di fistole più grandi li utilizziamo come protesi ad hoc, a fare da scheletro portante alla frazione stromale che, impiantata su di esso, provvederà a completare la riparazione”.

Pazienti anche dall’estero – L’equipe del Gemelli sta trattando anche diversi casi che vengono da fuori Roma; un paziente addirittura dall’Inghilterra. “La moglie di questo paziente di appena 45 anni, che si trovava in condizioni disperate (fistola esofagea dopo intervento di esofagectomia parziale per tumore dell’esofago, refrattaria a vari tentativi di correzione) – ricorda la dottoressa Nachira – ha letto del nostro protocollo su PubMed e ha deciso di portare il marito da noi. L’intervento è andato benissimo e l’uomo è tornato a casa dopo pochi giorni. Un altro caso particolare ci è arrivato da Napoli. Era un giovane di 37 anni con una pancreatite necrotico-emorragica che aveva prodotto varie fistole enteriche e una grande fistola entero-cutanea che drenava costantemente all’esterno, rendendo necessarie ripetute toilette chirurgiche; con questo trattamento gli abbiamo risolto un problema potenzialmente fatale, che si trascinava da tempo”.

La prima pubblicazione – Il primo lavoro relativo a questo protocollo pionieristico è stato pubblicato un paio di anni fa su Gastroenterology, rivista top di settore. Fino ad allora il ruolo del trapianto di tessuto stromale autologo per la riparazione delle fistole gastrointestinali non era mai stato esplorato. “La nostra – conclude Porziella – è dunque la prima pubblicazione scientifica in assoluto ad aver descritto questo protocollo di trattamento standardizzato, utilizzato da noi per la prima volta al mondo sull’uomo”.

A riprova dell’interesse che questa metodica sta riscuotendo nella comunità scientifica internazionale, nel 2022 un panel di esperti dell’American Society for Gastrointestinal Endoscopy ha inserito questa pubblicazione nella top ten di quelle più innovative, significative e impattanti per la pratica clinica, nel settore “gestione delle fistole”.

Redazione Nurse Times

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