Credevamo di aver già visto l’apice della tragicomica gestione politica nazionale di quest’emergenza qui in Lombardia. Invece la gara continua.
In particolare, nel mondo infermieristico, fa scalpore non tanto la pubblicazione in BUR n.45/2021 su “Formazione complementare in assistenza sanitaria dell’operatore socio-sanitario”, quanto la conferenza stampa del governatore Zaia e dell’assessore alla salute Lanzarin e le relative spiegazioni di merito.
Personalmente – se fossi stato un politico – per come conosco la categoria infermieristica, penso che avrei fatto sì che il decreto venisse promulgato senza farne troppo parola. Una volta in vigore la legge, dai più non sarebbe stata letta, chi ne avrebbe avuto interesse ne avrebbe gioito e la ruota sanitaria avrebbe girato (o sterzato) ancora. Ma effettivamente la notizia non si poteva contenere, né tanto meno il bisogno di far sapere alla nazione ancora una volta cosa ne pensa la politica della categoria infermieristica.
Più volte il governatore veneto ha anche detto che certe cose potrebbero far “arrabbiare” qualcuno. Non me certamente, non ora. Desipuit, cunctis studet quicumque placere1. Figurarsi poi se dovessi esprimermi contro la formazione in sanità… per carità, sacrosanta. Neanche questo è il problema. Il problema è ciò che – solo per analisi logica – s’intende dalle risposte dei due alla domanda della giornalista al venticinquesimo minuto della conferenza.
Presa la parola la Lanzarin, affermava: “Attualmente abbiamo in formazione 1.200 infermieri ma abbiamo presentato al ministero della Salute un fabbisogno di 3.000 e abbiamo ottenuto per l’anno prossimo di arrivare a 1.500 infermieri nei corsi di laurea di Verona, Padova e il corso di Ferrara. E’ evidente che non bastano. Per questo abbiamo pensato alla figura di oss specializzati, previsti da una norma regionale del 2001 e da una legge nazionale del 2003.”
Resta sospeso il dubbio: quindi, se non sono veneti non sono infermieri… oppure se non sono infermieri veneti non li vogliamo? Pare d’intendere – visto il carattere di “esigenza contingente e urgente” con cui chiude poi l’intervento, delle due più la prima.
E noi che credevamo che il passaporto vaccinale di cui si discute in Europa fosse per i vaccinati, non per i vaccinatori. E all’udire queste parole, a me – infermiere lucano, lombardo d’adozione – un po’ è venuto in mente Shilock l’ebreo. “E dunque? Non ha forse occhio clinico un infermiere italiano? Non ha manualità, conoscenze ed empatia un infermiere italiano? Non si nutre forse egli pure dello stesso cibo scadente di cui si nutrono gli infermieri veneti delle mense ospedaliere?
Non viene forse ferito dallo stesso governo? Non cura le stesse malattie che cura lui? Non è sottoposto allo stesso contratto nazionale? Non è infine soffocato dallo stesso scafandro dei reparti covid veneti? Se si punge, non s’infetta forse? E se chiamate infermierini gli oss, non ci mettiamo a ridere? E se poi lo fate anche, non affossate la nostra professione? 1
Ma tant’è, l’assessore ha poi aggiunto che “Da parte nostra non c’è alcuna volontà di sostituire gli infermieri con una laurea triennale...”. Noi ce ne siamo accorti da tempo anche nel resto d’Italia, coi colleghi che vanno in pensione, in malattia o in maternità. Per la cronaca, comunque, non sembra che i bandi per l’assunzione di infermieri sia a tempo determinato che indeterminato presso le aziende sanitarie pubbliche venete siano mai andati deserti; saprà rispondere l’assessore – se mi sbaglio – sulla numerosità di questi ultimi.
Stona invece la frase laconica “…quante volte abbiamo dovuto dire alle usl “ritardiamo nell’assunzione, i concorsi” … insomma tutti discorsi che ci siamo detti qui”. Mi sono perso qualcosa. E l’esigenza contingente e urgente? E l’articolo 323 del Codice penale? E l’art. 97 della Costituzione (italiana, lo so…)?
A me fa piacere che incontrerà le parti sindacali. Spero che il confronto sia cordiale e proficuo. Tuttavia, sui social infermieristici c’è una parola, o meglio una domanda, che già trasvola dalle Alpi al mare nostrano: “ma che paghiamo a fare l’Ordine?” Questa domanda ci unisce un po’ tutti, quando tra le reazioni del FNOPI non si è vista alcuna energica azione legale (seppure sono sicuro che ci stia pensando), ma giusto un’interrogazione parlamentare e rimostranze locali. Plaudo
all’iniziativa, ma dubito molto dell’efficacia. Tant’è che sorge addirittura il dubbio sul fatto che questa iniziativa legislativa non sia nata proprio da una mente d’estrazione infermieristica. Zaia poi riferisce magistralmente che “non occorre una laurea per fare una puntura” e “se vogliamo risolvere l’emergenza, quando arriveranno tanti vaccini… non dico fare come una volta che si andava dalla vicina di casa a fare la puntura, però quasi…”.
Maestro di ragion pratica. Proverò quindi a spiegare ora quale differenza c’è tra la puntura (il fatto meccanico, come dice Zaia) fatta dalla vicina di casa e l’infermiere, usando un linguaggio semplice sia per l’allegra massaia che per Zaia. Oltre al fatto che l’infermiere saprebbe farla senza far male (alludendo non tanto al dolore, quanto ai possibili danni), sa riconoscere i segni di eventuali reazioni avverse e gestire i primi soccorsi se dovessero essere gravi. Sa anche gestire l’organizzazione del centro vaccinale, la burocrazia e i contatti con gli altri presidi sanitari.
Sa rispondere a domande degli utenti sul vaccino fatto. Il tutto in autonomia. Inoltre, per “fare la puntura” in questione, occorrerebbe l’attestato di un corso dell’Istituto Superiore di Sanità dal titolo “Campagna vaccinale Covid-19: la somministrazione in sicurezza del vaccino anti SARS-CoV-2/Covid-19”, che mi sento di raccomandare vivamente alla vicina cultrice degli aghi, agli oss e a quanti si vogliono cimentare nell’impresa. Io mi rendo bene conto che la gestione del rischio – per come la intende la politica – sia la prevenzione da possibili azioni legali dell’utenza; ma la sicurezza del paziente di cui provano a occuparsi gli infermieri è un’altra cosa e in un momento in cui la gente è già spaventata di vaccinarsi, aggiungere dubbi sui vaccinatori non aiuta.
Ad ogni buon conto, lungi da me il voler pensar male, anche se resta il detto andreottino che a pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si indovina. Appunto perché verrebbe da pensar male se, ad oggi ad esempio, ci fossero corsi da oss specializzati già pronti a partire. Perché a voler fare i conti della serva, ora che si preparano e indicono i corsi, ora che oss paganti ci si iscrivono, ora che i corsi terminano… la campagna vaccinale – si spera con tutto il cuore – potrebbe essere bell’e finita (anche perché il problema sono i vaccini, non i vaccinatori).
Siamo sicuri che servano proprio per questa emergenza i super-oss, o che l’emergenza non stia creando un’opportunità per far risparmiare sull’assunzione di infermieri – che tanto alla fine sono solo quelli che fanno le punture ma costano di più – e a nessuno verrà in mente di controllare quanti infermieri siano stati sostituiti nelle piante organiche sanitarie dagli osss? Se penso alle vicende di questi ultimi mesi che hanno visto noi infermieri come protagonisti, l’immagine che ho è quella degli infermieri come il protagonista del romanzo i viaggi di Gulliver.
A un tratto appaiono giganti rispetto agli “infermierini”, a un tratto appaiono piccoli tanto da entrare in una gabbia ed essere esposti al pubblico solo quando questo spettacolo fa guadagnare, per poi ritrovarsi in un mondo di teorie destinato alla distruzione per mancanza di vero senso pratico (come nel nostro caso poteva essere l’assunzione di infermieri e l’abolizione completa – non la sospensione per i vaccini – del vincolo di esclusività). Le avventure di Gulliver finiscono in un mondo fatto di esseri con la testa di cavallo che riescono a far vergognare il protagonista per essere quello che è.3
Qualcuno ha chiesto all’assessore e al governatore di ritirare la norma. Non solo la risposta è stata un no categorico, ma in brevissimo tempo molti altri governatori stanno replicando questo espediente. Ius rationis abest, ubi saeva potentia regnat4. Togliete pure la ragione se volete, ma alla fine qualcuno dovrà chiedere scusa a Gallera.
Michele Castello
Bibliografia:
1 – Proverbio latino. Trad. “Sbaglia chi cerca di accontentare tutti”.
2 – Trasposizione infermieristica de “Il Mercante di Venezia”, monologo di Shilock l’ebreo, Atto III, scena 1 in chiave infermieristica. Michele Castello
3 – I viaggi di Gulliver, Jonathan Swift. Ed. La biblioteca dei ragazzi, 2012.
4 – Proverbio latino. Trad. “Dove regna la forza, non esistono ragioni”.
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