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Griglia Lea, per Gimbe non è più affidabile

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Griglia Lea, per Gimbe non è più affidabile
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Secondo la Fondazione, lo strumento utilizzato per verificare l’erogazione delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire ai cittadini presenta troppi limiti.

Ogni anno il ministero della Salute rende noto il report riguardante il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza attraverso la cosiddeta griglia Lea, che verifica l’erogazione, attraverso l’assegnazione di un punteggio, delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire ai cittadini. 

«Si tratta di una vera e propria pagella in materia di sanità – afferma Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, che permette di identificare Regioni promosse e bocciate». Per le Regioni considerate inadempienti e sottoposte a piano di rientro, il ministero della Salute prevede infatti uno specifico affiancamento, sino al commissariamento, fatta eccezione per quelle non soggette a verifica degli adempimenti( Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Valle D’Aosta e Province autonome di Trento e Bolzano).

«L’Osservatorio Gimbe sul Servizio sanitario nazionale – continua Cartabellotta – rileva da anni che il monitoraggio tramite la cosiddetta griglia Lea è solo un political agreement tra Governo e Regioni, perché lo strumento è sempre più inadeguato per valutare la reale erogazione delle prestazioni sanitarie e la loro effettiva esigibilità da parte dei cittadini».

Innanzitutto la griglia Lea ha modeste capacità di identificare gli inadempimenti per il numero limitato di indicatori e per le modalità di rilevazione, ovvero l’autocertificazione da parte delle stesse Regioni. In secondo luogo, lo strumento si è progressivamente “appiattito”, perché indicatori e soglie di adempimento non hanno subito rilevanti variazioni negli anni e non sono modificati dal 2015. E poi la soglia di adempimento per la “promozione” è rimasta sempre la stessa: 160 punti su 225. Infine il monitoraggio è reso pubblico con circa due anni di ritardo, impedendo tempestive azioni di miglioramento. 

«Tutti questi limiti – spiega Renata Gili, responsabile di Ricerca sui Servizi sanitari della Fondazione – riducono la possibilità di valutare in maniera oggettiva, analitica e tempestiva la capacità delle Regioni di erogare le prestazioni ordinarie, anche per stimare la possibilità di rispondere a un evento straordinario come la pandemia»

Aggiunge Cartabellotta: «Dal 2008 lo Stato certifica l’erogazione delle prestazioni da parte delle Regioni con uno strumento sempre meno adeguato a valutare la qualità dell’assistenza sanitaria. In particolare, l’ultimo monitoraggio del 2018 “promuove” tutte le Regioni sottoposte alla verifica degli adempimenti, in netto contrasto con numerosi report indipendenti nazionali e internazionali che attestano invece un peggioramento della qualità dell’assistenza»

Gimbe ha analizzato i risultati dei monitoraggi annuali del ministero della Salute relativi agli anni 2010-2018. Questo il dettaglio:

  • A partire dai singoli indicatori sono stati calcolati i punteggi totali, compresi quelli non disponibili. In particolare quelli delle Regioni non sottoposte a verifica degli adempimenti per gli anni 2010-2016 e quelli relativi a tutte le Regioni per gli anni 2010-2011.
  • Le “percentuali di adempimento” sono state calcolate come rapporto tra il punteggio cumulativo ottenuto nel periodo 2010-2018 e il punteggio massimo di 2.025, raggiungibile nei nove anni analizzati. 
  • La classifica finale è stata elaborata secondo le percentuali cumulative di adempimento 2010-2018 e suddivisa in quartili.

L’analisi degli adempimenti Lea 2010-2018 dimostra quanto segue.

  • Nel periodo considerato la percentuale cumulativa media di adempimento delle Regioni è del 75% (range tra Regioni 56,2%-92,8%). In altri termini, se la griglia Lea è lo strumento ufficiale per monitorare l’erogazione delle prestazioni essenziali, il 25% delle risorse spese dalle Regioni per la sanità nel periodo 2010-2018 non ha prodotto servizi per i cittadini (range tra Regioni 7,2%-43,8%). 
  • La percentuale cumulativa di adempimento annuale è aumentata dal 64,1% del 2010 all’85,1% del 2018: un miglioramento ampiamente sovrastimato in ragione dell’appiattimento della griglia Lea.
  • Solo 11 Regioni superano la soglia di adempimento cumulativo del 76% e, a eccezione della Basilicata, sono tutte situate al Centro-Nord, confermando sia la “questione meridionale” in sanità sia la sostanziale inefficacia di piani di rientro e commissariamenti nel migliorare l’erogazione dei Lea. 
  • Regioni e Province autonome non sottoposte a verifica degli adempimenti hanno performance molto variegate: da un lato Friuli-Venezia Giulia e Provincia autonoma di Trento raggiungono percentuali di adempimento cumulative rispettivamente dell’80,4% e 78,3%; dall’altro Valle D’Aosta, Sardegna e Provincia autonoma di Bolzano si collocano nel quartile con le performance peggiori. 

«La nostra valutazione pluriennale – commenta Gili – fornisce numerosi spunti per implementare il “nuovo sistema di garanzia”, che dovrebbe aver sostituito la griglia Lea dal 1° gennaio 2020, salvo ulteriori ritardi». Infatti, se il nuovo strumento è stato sviluppato per meglio documentare gli adempimenti regionali, bisogna prevenirne il progressivo appiattimento e rivedere le modalità di attuazione dei piani di rientro, per consentire al ministero della Salute di effettuare interventi selettivi, evitando di paralizzare l’intera Regione con lo strumento del commissariamento.  

«Se la pandemia, dopo anni di tagli e definanziamenti, ha finalmente rimesso il Servizio sanitario nazionale al centro dell’agenda politica – conclude Cartabellotta –, dall’altro ha enfatizzato il conflitto istituzionale tra Governo e Regioni, ben lontano da quella “leale collaborazione” a cui l’art. 117 della Costituzione affida la tutela della salute tramite il meccanismo della legislazione concorrente. Senza una nuova stagione di collaborazione politica tra Governo e Regioni e un radicale cambio di rotta per monitorare l’erogazione dei Lea, sarà impossibile ridurre diseguaglianze e mobilità sanitaria, e il diritto alla tutela della salute continuerà a essere legato al Cap di residenza delle persone. E con la pandemia le persone si devono affidare, nel bene e nel male, alla sanità della propria Regione».

Redazione Nurse Times

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