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Formazione universitaria per infermieri, una conquista divenuta un disastro annunciato?

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Formazione universitaria per infermieri, una conquista divenuta un disastro annunciato?
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Nell’ottica della crescita della professione infermieristica uno dei tanti aspetti che assume un valore pregnante, un problema che tutti conosciamo bene e che però pare a nessuno interessi affrontare e risolvere è quello della formazione dei futuri professionisti

Parliamo sia del percorso di laurea di base che nei percorsi formativi post laurea (magistrale e master).

Appare infatti del tutto evidente come l’attuale sistema formativo non sia funzionale a plasmare dei veri professionisti intellettuali. Bensì dei professionisti buoni per ogni stagione e/o mansione; del tutto inconsapevoli di ciò che sono e di quello che rappresenteranno per i loro pazienti.

In questo modo le università continuano a sfornare infermieri più consoni ad essere demansionati a sopperire ad ogni carenza strutturale delle aziende, finanche a lavare pavimenti e sturare gabinetti, tanto “lo si fa per il bene del paziente…..”. Ecco proprio questo concetto tanto caro alle nostre sedi di laurea è un concetto realmente condivisibile?

Francamente credo proprio che questo modo di fare non porta benedici a nessuno, tantomeno al paziente. Sostituirsi a tutto e tutti, si sottrae solamente tempo di cura e prestazioni altamente professionali al paziente stesso.

In questo modo si fa l’interesse di tutti, tranne quello del paziente stesso che si vedrà negato in questo modo il suo diritto ad essere assistito nel migliore modo e da veri professionisti della salute; cioè INFERMIERI CHE FACCIANO E SAPPIANO FARE GLI INFERMIERI a tutto vantaggio degli interessi aziendali.

Fin dal lontano 1999 con l’istituzione dei diplomi universitari primo passo timido degli infermieri nella formazione universitaria e successivamente nel 2001 con la trasformazione dei D.U. in laurea triennale si è commesso un errore di base: inserire la laurea in infermieristica all’interno della facoltà di medicina, invece di creare la facoltà di NURSING, o al massimo, delle professioni sanitarie in cui comprenderle tutte e 22.

Ma non finisce qui. Questa trasformazione avrebbe dovuto suggerire una rivisitazione completa e finalizzata alla nuova figura di professionista che in questo modo si sarebbe venuta a creare dai programmi di studio e dei piani formativi. Invece si scelse di traslare la formazione regionale (il vecchio diploma di infermiere professionale) all’interno delle aule universitarie.

Questi due passaggi, uniti ad un immobilismo straziante delle università sono la base e l’humus su cui ha proliferato e si è dispiegata l’attuale disastrosa situazione. Difatti se agli albori questo poteva in un certo senso avere una spiegazione nella difficoltà oggettiva di organizzare qualcosa di completamente nuovo, oggi a distanza di 17 anni, non ha nessuna giustificazione.

17 anni persi tra pastoie ed immobilismo, in cui i corsi universitari hanno perso credibilità, arrivando ai giorni nostri in cui si continua a laureare una massa di infermieri che (non certo per colpa loro) di professionista hanno ben poco…e sono anche per questo motivo incapaci di appropriarsi del proprio ruolo nella società e nella sanità Italiana.

Viene a questo punto legittimo pensare che i corsi di laurea in infermieristica siano convenienti solamente per gli atenei e per il mondo del lavoro, ma assolutamente dannosi per gli studenti che intraprendono questo percorso, spesso con molte aspettative e tanti sacrifici personali e delle loro famiglie.

Infatti se analizziamo il rapporto tra le tasse versate dagli studenti e la qualità formativa che ricevono dagli atenei, c’è davvero da preoccuparsi.

Se poi consideriamo che le docenze vengono svolte da personale dipendente delle aziende sanitarie in cui risiedono i vari corsi di laurea, a costo ZERO per l’università, ma a carico delle stesse aziende sanitarie, poi a questo aggiungiamo come e dove vengono svolti i tirocini formativi ci accorgeremo quali sono le finalità di questa “manodopera” a “sconto”. Difatti, gli studenti vengono quasi sempre utilizzati per coprire le carenze di personale di supporto. Un ottimo “affare” sia per le università che per le aziende sanitarie. Se poi consideriamo come le varie aziende gestiscono l’affidamento di queste docenze, arriviamo alle conclusioni di cui sopra. La realtà consolidata di molti corsi di laurea in infermieristica è appunto affidare le docenze per lo più ai vecchi “capo sala” didattici dei vecchi corsi regionali, o a pochi eletti e “fortunati”.

Ho personalmente visto valutare in questi bandi di docenza, il possesso della laurea magistrale (che dovrebbe essere requisito minimo per accedere all’insegnamento) gli stessi punti di una laurea triennale, premiando sempre i “soliti” vecchi docenti con l’assegnazione di 12/15 materie. Ed ecco che si avvitano tutti i problemi di questa formazione universitaria: programmi formativi basati sull’angolo del letto, sul cambio pannoloni, sulla pulizia del comodino e su tante altre simili corbellerie che nulla hanno a che fare con un vero e futuro professionista e che però diventano materia di laboratori e di esami per quasi tutto il primo anno di laurea.

Personalmente credo che avendo raggiunto l’importante riconoscimento normativo di ORDINE, forse è arrivato il momento che la FNOPI studi attentamente il fenomeno. Solo uno studio attento e sopratutto non autoreferenziale potrà fornire gli strumenti e le idee per poter intervenire in questo scempio che è la formazione universitaria degli infermieri. Credo sia necessario, in questo senso, un documento di posizionamento come quello redatto sul demansionamento. Anche perchè è bene ricordarlo: la prima forma di demansionamento nasce qui e questi ragazzi, domani dei professionisti se la porteranno dietro per tutta la loro vita professionale.

 

Angelo De Angelis

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