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Firenze, Ipasvi “Fare rete per valorizzare il lavoro degli infermieri cooperanti”

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Firenze, Ipasvi "Fare rete per valorizzare il lavoro degli infermieri cooperanti"
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Ipasvi, Fnomceo, Regione Toscana, Amsi e Umem riunite a Firenze per parlare di Cooperazione Sanitaria internazionale

Firenze, 7 ottobre 2017 – La carriera estera in cooperazione deve essere riconosciuta, valorizzata, agevolata. È un messaggio forte quello lanciato dal collegio Ipasvi di Firenze-Pistoia, nell’ambito dell’incontro sulla Cooperazione Sanitaria internazionale che si è tenuto lo scorso 2 ottobre al Palazzo Medici Riccardi di Firenze. Rappresentanti delle istituzioni e infermieri cooperanti hanno offerto il proprio contributo, per un momento di confronto sul tema della multiculturalità e della cultura dell’accoglienza nell’attività sanitaria. Quello che è emerso è la necessità di creare un sistema di riconoscimento univoco per il lavoro svolto dagli infermieri cooperanti. Un risultato raggiungibile soltanto attraverso una rete in ambito di cooperazione sanitaria internazionale che coinvolga Ipasvi, Fnomceo, Centro di Salute Globale della Regione Toscana e associazioni di categoria: un’alleanza che porti a risultati univoci e riconosciuti.

«Siamo qui per parlare di Cooperazione Sanitaria Internazionale, un argomento di forte attualità, non possiamo trascurare questo tema poiché la Regione Toscana è capofila per la Cooperazione e lo Sviluppo internazionale – ha detto nella sua introduzione Abukar Aweis Mohamed, già consigliere di IPASVI Firenze – per questo abbiamo voluto che i colleghi cooperanti spiegassero cos’è e quali opportunità offre. La tavola rotonda ha invece un ruolo “politico” per aprire un confronto sulle prospettive future dell’infermieristica in cooperazione internazionale».

«Gli infermieri cooperanti hanno un’esperienza bella e ricca: ma è necessario avviare un tavolo tecnico con le istituzioni e creare un programma strutturato – ha detto Danilo Massai commissario del collegio IPASVI di Firenze-Pistoia -. Il primo tema è la formazione: nella formazione infermieristica di base esiste solo qualche seminario e di cooperazione si parla poco: questo va risolto. E poi dobbiamo studiare delle tutele per la cooperazione, perché sia riconosciuta e valorizzata. Sono temi che vanno messi a punto: per questo cooperazione e medicina delle migrazioni sono tra gli obbiettivi principali del Collegio Ipasvi per il 2018».

«Il centro regionale di salute globale, istituito nel 2012, afferisce operativamente presso l’Aou Meyer, che storicamente ha gestito l’attività di cooperativa sanitaria internazionale. La legge che riordina il Sistema Sanitario Regionale (n. 84 del 2015) ha nominato il Centro come struttura di coordinamento delle iniziative che riguardano gli ambiti della migrazione e della cooperazione in ambito socio-sanitario, due temi strettamente correlati tra loro e tra cui è necessario creare maggiori sinergie al fine di garantire un accesso più equo alla salute – ha spiegato Maria José Caldés, direttore del Centro, che ha portato i saluti dell’assessore Saccardi, sottolineando l’impegno della nostra Regione nell’ambito della salute globale -. Una delle principali attività del Centro è la formazione di professionisti socio-sanitari, sia qui in Toscana sui temi inerenti la salute globale che nei paesi in cui i progetti sono implementati. Il ruolo dei professionisti del SST, tra cui gli infermieri, è realmente cruciale per lo svolgimento dei progetti, in quanto rappresentano la risorsa principale in termine di expertise e competenze tecniche». La dottoressa Caldés ha inoltre spiegato che i progetti regionali hanno una durata prolungata nel tempo per garantire l’avvio di processi di cambiamento e miglioramento dei servizi locali.  Esistono poi i progetti a bando (circa dieci all’anno), piccole iniziative presentate da enti locali, ONG e associazioni di volontariato. Da quest’anno sono stati introdotti i PIRS (Progetti di interesse regionale strategico), gestiti direttamente dal Centro di Salute Globale, coadiuvato dalle Aziende Sanitarie Toscane”.

Quattro infermieri cooperanti, moderati da Katalin Eva Virag, infermiere presso l’Azienda Ospedaliero Università Careggi e lei stessa con esperienza in Sudan con Emergency e Cuamm, hanno poi portato le proprie testimonianze dirette delle esperienze fatte all’estero.

«Si tratta di una carriera che non può essere improvvisata – ha spiegato Gino Cremoni infermiere presso l’Azienda Ospedaliero Università Careggi e con una lunga esperienza in Somalia –, e richiede impegno, sacrificio e duro lavoro. Bisogna avere capacità di adattamento, buon equilibrio personale, la disponibilità a cambiare sede di lavoro, il rispetto delle culture altrui. E bisogna tenere conto che spesso siamo soli. Non in tutti i Paesi poi, gli infermieri locali sono preparati: il nostro compito sta nel passare loro il nostro sapere».

L’intervento di Caterina Torcini, infermiera libero professionista che ha lavorato in Sudan e a Lampedusa, si è concentrato su come approcciarsi alla carriera di cooperante. «I requisiti necessari sono flessibilità, conoscenza di almeno una lingua straniera, capacità di immergersi nel contesto culturale, efficace team work. E la formazione include capacità di management e capacità cliniche ed epidemiologiche, che si ottengono attraverso il Master I livello in Medicina Tropicale, corsi di perfezionamento o circuito TropEd. Oppure con la formazione continua».

«Negli ultimi cinque anni – ha spiegato Claudia Picone infermiera dell’Azienda USL Toscana Centro – ho partecipato a missioni in Burkina Faso, con l’associazione Ospedali in Burkina nata nel 2007 per migliorare le piccole strutture del territorio, e in Etiopia con il progetto Engera che organizza missioni patrocinate da Meyer e Regione Toscana. Due Paesi in fascia sub-sahariana molto poveri, con un’aspettativa di vita medio-bassa: qui il nostro compito non è arrivare e lavorare alla nostra maniera, ma adattarsi e insegnare».

Silvia Franci infermiera dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Meyer, ha parlato della sua esperienza in Etiopia con l’associazione Engera che in dieci anni ha costruito «due cliniche, un punto nascita e ha ridotto il numero di morti durante il parto».

Ha realizzato anche una rete idrica, cruciale poiché l’acqua è una dei maggiori veicoli di malattie. «Nonostante le difficoltà, credo che sia un’esperienza da fare: parti con tre valige da 26 kg piene di solo materiale sanitario e torni a valige vuote ma con un bagaglio personale molto più ricco».

Dopo il dibattito, si è aperta la tavola rotonda “Le opportunità nella cooperazione sanitaria internazionale”.

«Nel Principato di Monaco – ha detto Alessandro Antonio Giusti Console Onorario del Principato di Monaco a Firenze – ci sono tanti aspetti non conosciuti della cooperazione internazionale. Un esempio: all’Expo di Milano 2015 il padiglione del Principato di Monaco era formato da sei container ideati per essere portati nel Burkina Faso e convertiti in un piccolo centro sanitario. Molti medici si sono presentati per andare a prestare servizio in Burkina Faso e con loro infermieri, individuando un canale giusto attraverso la Croce Rossa Internazionale. Il Principato di Monaco è quindi anche sostenibilità e cooperazione».

«Le Regioni dovrebbero istituire un fondo che copra l’assenza dell’infermiere che va all’estero – ha detto Musa Awad Hussein rappresentante di FNOMCEO -. L’organico è ridotto al minimo: quindi bisogna trovare i fondi per non lasciare scoperto il ruolo di chi si assenta per lavorare in cooperazione. Sulla formazione è chiaro che se non siamo formati non possiamo dare: abbiamo chiesto a livello universitario di istituire una formazione in salute globale che include cooperazione, comunicazione, management. C’è bisogno di colleghi che si occupino di salute globale sia qui che altrove».

«Il nostro interesse è rivolto a tutte le categorie sanitarie – ha spiegato Claudio Rossi rappresentante dell’AMSI (Associazione Medici di origine Straniera in Italia) – e gli infermieri rappresentano il completamento della professione. Il nostro obbiettivo è facilitare l’opera delle Ong, costruendo reti di per poter lavorare con orientamento unico. Con questo intento è nata l’UMEM (Unione Medica Euro Mediterranea) che ha il compito di sollecitare le autorità di ogni Stato membro a spingere sulla formazione e sulla mediazione interculturale nella salute. Chi va in cooperazione deve essere formato sulle esigenze e formare a sua volta sul posto per rispondere all’esigenza di professionalità e conoscenze».

«Il concetto salute globale è quello che sta sostituendo quello della cooperazione internazionale – ha detto Pietro Modesti dell’Università degli Studi di Firenze -: puntare alla salute globale vuol dire identificare quali sono i determinanti sociali della salute, oggi riconosciuti in tutto il mondo. Quindi noi dobbiamo formarci per diffondere questi concetti e farlo nel rispetto delle altre culture. Per questa ragione abbiamo ideato un master focalizzato non sulla cooperazione internazionale ma sul concetto di salute globale che abbraccia nozioni in ambito di giurisprudenza, sociologia e medicina».

«Dalle testimonianze delle colleghe – ha detto Maria Adele Schirru vice presidente della Federazione Nazionale dei Collegi IPASVI – è venuto fuori il vero spirito infermieristico. Dedicarsi alla cooperazione internazionale richiede, come illustrato dalle relazioni, competenze non solo di carattere tecnico professionale ma anche umane e relazionali. Capacità di adattarsi al contesto e consentire quindi di “passare” il proprio sapere ai colleghi del luogo. In questi ultimi anni molti infermieri sono andati a lavorare all’estero per i sistemi sanitari quali, ad esempio Inghilterra e Germania. La loro esperienza può essere riconosciuta, esistono uffici appositi presso le Regioni, in Piemonte Regione da cui provengo, è presente un apposito ufficio. Credo che tale condizione esista anche in altre Regioni e quindi anche in Toscana. Gli aspetti che stiamo affrontando oggi riguardano però la cooperazione che ha diverse possibilità e regole. Chi parte ad esempio per missioni con la croce rossa piuttosto che con il Ministero, gode di riconoscimenti e agevolazioni che altre organizzazioni non hanno. Per le difficoltà che sono state illustrate in tal senso, la Federazione si rende disponibile per una loro disamina. Chiedo a tal fine al Collegio di Firenze – Pistoia di formulare una proposta mettendo in evidenza quali sono le criticità e i punti sui quali possiamo dare un contributo dal punto di vista politico, ponendoci come interlocutori con le istituzioni». 

«Faremo quindi una proposta sui criteri di riconoscimento della carriera all’estero – ha concluso Abukar Aweis Mohamedche presenteremo al Collegio Ipasvi Firenze-Pistoia da sottoporre alla Federazione Nazionale e di conseguenza a vari livelli ministeriali. Questo perché così come succede per chi va a operare all’estero in Sistemi Sanitari Nazionali di altro Paesi o in istituti convenzionati riceve un riconoscimento per questa attività, così deve essere anche per chi lavora nella cooperazione internazionale. L’obbiettivo è creare una solida rete in cui Ipasvi, Fnomceo, il Centro della Salute Globale e le associazioni di categoria lavorino d’intesa per ottenere risultati univoci e riconosciuti».

Redazione NurseTimes

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