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Firenze, anche il Meyer entra nell’era delle Car-T

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Firenze, anche il Meyer entra nell'era delle Car-T
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L’ospedale pediatrico del capoluogo toscano ha trattato con questo sistema un bimbo di dieci anni affetto da una leucemia resistente a ogni tipo di terapia.

L’ospedale Meyer di Firenze è entrato nell’era delle Car-T. Lo ha fatto con un trattamento effettuato a metà dello scorso maggio su un bambino di dieci anni affetto da una leucemia resistente a ogni tipo di terapia. A distanza di poco più di un mese dall’infusione delle cellule riprogrammate, i primi esami di controllo hanno rivelato che la cura ha effettivamente azzerato la presenza di cellule malate nel midollo del piccolo paziente. Ed è la prima volta che questo accade da quando il bambino ha iniziato la sua lunga battaglia contro la leucemia. È ancora presto per dire se la malattia si ripresenterà in futuro: determinanti saranno i prossimi mesi. Ma questo primo risultato, anche se parziale, riaccende la speranza degli oncoematologi del pediatrico fiorentino.

Sono soltanto tre in Italia, al momento, i centri pediatrici che hanno attivato questa terapia d’avanguardia: oltre al Meyer, il Bambino Gesù di Roma e il San Gerardo di Monza. Per la Toscana, si tratta del primo caso in cui un bambino riceve questa terapia. Circa un anno fa l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) ha dato il via libera alla rimborsabilità di questa terapia da parte del Servizio sanitario nazionale e la Regione Toscana, con un’apposita delibera del 25 marzo 2019, ha indicato gli ospedali autorizzati a erogarlo.

“Ancora una volta il Meyer conferma la sua eccellenza nel panorama italiano della ricerca medico scientifica in ambito pediatrico – commenta l’assessore regionale al Diritto alla salute, Stefania Saccardi. Per i nostri piccoli pazienti e per le loro famiglie la terapia genica con le Car-t è più di una speranza. La cura di leucemia e linfomi, grazie a un’assistenza multidisciplinare specializzata di altissimo livello per l’intero percorso di cura, oggi ha fatto un grande passo in avanti. La Regione ha creduto molto in questo tipo di progettualità, tanto che nel 2019 abbiamo portato a quattro i centri toscani dove è possibile sperimentare questa terapia innovativa, aggiungendo Careggi e Meyer alle due Aziende ospedaliero universitarie di Pisa e Siena. I fatti oggi ci dicono che avevamo visto giusto”.

Spiega Claudio Favre, responsabile del Centro di eccellenza di Oncoematologia pediatrica del Meyer: “In passato, per questo bimbo, avremmo solo potuto iniziare il percorso delle cure palliative. Oggi la ricerca scientifica ci offre questa ulteriore possibilità, che abbiamo voluto sperimentare, credendoci fino in fondo. Per noi comincia una nuova epoca”.

Aggiunge Alberto Zanobini, direttore generale del Meyer: “Questo risultato è molto importante per il Meyer, che ancora una volta dimostra di essere pronto a cogliere le opportunità mess a disposizione dalla ricerca scientifica. Le terapie geniche rappresentano la nuova frontiera della medicina e il nostro ospedale non vuole perdere questo appuntamento con un futuro ricco di preziose possibilità per la salute dei bambini. Per affrontare questa sfida, iniziata nel pieno dell’emergenza epidemiologica da coronavirus, abbiamo puntato su un imponente lavoro di squadra, che ha coinvolto tanti nostri professionisti. Ognuno di loro ha messo a disposizione la propria competenza per aiutare questo paziente”.

Quello che ha portato il Meyer a poter sperimentare questo trattamento innovativo in campo onco-ematologico è un grande lavoro di squadra, che ha richiesto la collaborazione di un’equipe multidisciplinare, coordinata da Claudio Favre. Per seguire il paziente e affrontare le complicanze legate al trattamento sono stati coinvolti, oltre agli oncologi e ai pediatri, rianimatori, neurologi, cardiologi, oculisti, nefrologi e infermieri specializzati. Fondamentale anche il lavoro del Centro trasfusionale sangue che ha gestito il delicato, quanto cruciale, momento dell’aferesi. In seguito le cellule prelevate al paziente sono state spedite in un laboratorio negli Stati Uniti che, grazie alla terapia genica, ha ingegnerizzato, fortificandoli, i linfociti T. Infine il prodotto, personalizzato, ha fatto ritorno al Meyer, pronto per essere infuso dai medici del Centro trapianti di cellule staminali.

Il percorso del piccolo paziente è iniziato in un momento difficile, determinato dall’emergenza epidemiologica da coronavirus. L’equipe ha studiato il caso nei minimi dettagli, preparandosi a fronteggiare tutti i pesanti effetti collaterali che il trattamento può determinare. Una preparazione meticolosa, che ha previsto anche l’invio di due medici dell’equipe presso la Goethe University, Department for Children and Adolescents, a Francoforte, in Germania. Ciò ha permesso di mettere a punto una procedura che ha combinato in modo ideale la tempistica e la somministrazione dei farmaci in grado di contenere le complicanze.

Determinante, sotto questo profilo, la collaborazione della Farmacia ospedaliera del Meyer. Una preparazione meticolosa che si è rivelata preziosa per affrontare i problemi che il piccolo paziente ha avuto dopo il trattamento, fino all’attuale stabilizzazione delle sue condizioni. Il percorso del bambino è ancora lungo e pieno di incertezze, ma i medici dell’ospedale pediatrico sono al suo fianco, pronti per affrontare insieme le prossime sfide.

Le Car-t (Chimeric Antigens Receptor Cells-T) sono una terapia innovativa in campo oncoematologico e vengono utilizzate per trattare quei tumori del sangue, come linfomi e leucemie, che non rispondono ai medicinali tradizionali o al trapianto. Gli studi hanno dimostrato che queste terapie di ultima generazione offrono ai pazienti che sono andati incontro a molteplici ricadute una possibilità in più per combattere la malattia, aumentando le loro chanches di guarigione. Non tutti i pazienti possono essere sottoposti a questo trattamento, altamente specializzato e personalizzato: esistono precise indicazioni cliniche che indicano quando questo può essere effettuato.

La terapia è basata sull’azione dei linfociti T, quella popolazione di globuli bianchi che è coinvolta nel complesso sistema del sistema immunitario e che, nel caso dei tumori del sangue, non riescono a svolgere la loro funzione. Il farmaco viene prodotto a partire dalle cellule del paziente stesso attraverso un processo molto articolato, che prevede tre fasi: il prelievo dei linfociti tramite aferesi, la loro modifica con la ingegnerizzazione, e una reinfusione per via endovenosa. Si tratta di una terapia molto costosa, che comporta una spesa di 320mila euro a trattamento. Il costo medio è quasi dimezzato dall’accordo negoziale stipulato tra Aifa e l’azienda produttrice.

Redazione Nurse Times

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