Riceviamo e pubblichiamo un comunicato a cura del presidente del sindacato, Antonio De Palma.
Oggi è l’8 marzo, e nella solenne giornata della Festa della donna, senza retorica, siamo convinti che prima di tutto il nostro pensiero debba doverosamente essere rivolto a tutte le nostre infermiere che combattono ogni giorno sul campo, ma in particolare alle famiglie delle nostre operatrici sanitarie che non ci sono più, che hanno perso la loro vita durante l’emergenza sanitaria. L’occasione di questa celebrazione si rivela fondamentale per porci dei quesiti.
Quanto vale la vita di un infermiere, una madre di famiglia, di un padre, che hanno combattuto contro un nemico invisibile, troppo spesso lasciati disarmati di fronte a un avversario subdolo, agguerrito, all’inizio fin troppo sconosciuto, e che hanno sacrificato la propria esistenza per tutelare la salute degli italiani nel momento più difficile della nostra storia recente? Quanto vale il dolore di avere perso, per sempre, una sorella, una moglie, un fratello o un marito?
Abbiamo il dovere di chiedercelo, ogni giorno, ma più che mai quando siamo di fronte a certe notizie che ci spingono ad ulteriori interrogativi, che non vorremmo rimanessero senza una risposta. Lo scorso 4 marzo sono scaduti ufficialmente i termini per la cosiddetta “elargizione una tantum” destinata ai parenti dei familiari dei professionisti della sanità deceduti, sul campo, con coraggio, a causa del Covid.
L’Inail ha messo a disposizione un fondo di circa 15 milioni di euro, informando le famiglie interessate, con alcuni comunicati stampa apparsi sul web, e con una apposita circolare presente sul sito dell’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro. Ad oggi sarebbero pervenute solo 300 domande, mentre, come noto, gli operatori sanitari deceduti, tra medici e infermieri, secondo i dati ufficiali, sono circa 500.
Cosa è accaduto veramente? Perché ben 200 famiglie sono rimaste fuori da questo doveroso riconoscimento economico? E c’è da chiedersi: alla luce dei 15 milioni di euro stanziati e del numero di domande presentate, se 50mila euro possano essere considerati un indennizzo equo, per la vita di un operatore sanitario.
Come era previsto dall’accordo di collaborazione sottoscritto il 29 dicembre, fra il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri e l’Inail, le domande dovevano essere presentate sul sito dell’Istituto attraverso il servizio online “Speciale elargizione familiari vittime Covid-19” e dovevano riguardare i decessi avvenuti entro il 28 dicembre 2022 per effetto diretto o come concausa del contagio da Covid-19 contratto nel periodo di emergenza, compreso tra il 31 gennaio 2020 e il 31 marzo 2022.
La domanda poteva essere presentata singolarmente da ciascun beneficiario, cumulativamente da uno dei familiari munito di apposita delega o da un soggetto terzo, in qualità di rappresentante legale o delegato del familiare. Vogliamo essere sinceri fino in fondo, coerenti come lo siamo sempre stati: era davvero questo il modo corretto di agire nei confronti di famiglie colpite da un dolore così forte e soprattutto di fronte a mogli, mariti, bambini piccoli, ritrovatisi, improvvisamente, anche senza un importante sostentamento economico?
La morte improvvisa di un operatore sanitario, che ha sacrificato la sua vita per la collettività, meritava, a nostro avviso, ben altro trattamento, e certamente non un percorso burocratico come quello che devi seguire per richiedere l’Assegno Unico Familiare. La morte di un infermiere, nell’esercizio delle proprie funzioni, deve davvero essere ridotta ad un modulo da compilare? Signori, qui parliamo di uomini e di donne, di professionisti che hanno perso la loro vita, la maggior parte contagiandosi nelle corsie di un ospedale, durante mesi di vero inferno.
Vorremmo ricordare, poi, doverosamente, i numeri degli infermieri deceduti: ad oggi 90, mentre ben 320mila sono stati coloro che sono rimasti vittime del contagio. Non possiamo non menzionare quei numeri che indicano che la professione più colpita è stata, in assoluto, quella dei tecnici della salute, in prevalenza infermieri. L’analisi per professione dell’infortunato conferma la prevalenza dei contagi tra il personale dell’ambito sanitario, con la categoria dei tecnici della salute al primo posto con il 37,7% delle denunce (in tre casi su quattro, ricordiamolo doverosamente, si tratta di donne), l’82,3% delle quali relative a infermieri.
A questo punto concedeteci di dirvi che è doloroso e triste il solo pensare che famiglie travolte dal dolore più grande, come quello di aver perso un proprio congiunto per mano del Covid mentre combatteva in ospedale al servizio dei cittadini, possano avere, paradossalmente, anche la grande colpa di non essersi informate abbastanza per inviare in tempo la domanda di accesso ai fondi.
Vogliamo invece pensare, legittimamente, che il Governo di un Paese civile, di concerto con le Regioni e con le aziende sanitarie, conoscendo bene, uno per uno, i nomi dei professionisti deceduti per causa di servizio, avrebbe avuto modo e maniera di contattare direttamente le famiglie, informandole del riconoscimento economico al quale avevano diritto. Per una volta almeno, con tutto il rispetto del caso, senza chiedere loro, tristemente, di far fronte a scadenze e moduli da compilare.
Redazione Nurse Times
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