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Encefalite da zecche, scatta l’allarme nel Regno Unito

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Encefalite da zecche, scatta l'allarme nel Regno Unito
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Confermato il primo caso umano di encefalite da zecche. Alla scoperta di questa malattia virale, potenzialmente molto pericolosa.

La Health Security Agency del Regno Unito ha confermato il primo caso umano nel Paese di encefalite da zecche o meningoencefalite da zecca, nota anche con l’acronimo di TBE (Tick Borne Encephalitis). Il Servizio sanitario britannico ha istituito un programma di sorveglianza, chiedendo di inviare i campioni di casi sospetti all’UKHSA.

Le autorità sanitarie affermano che il rischio è basso, ma esortano a prendere precauzioni e a cercare assistenza medica nel caso in cui ci si ammali dopo la puntura di una zecca. Le precauzioni consistono nel proteggersi dalle punture, coprendo caviglie e gambe, applicando repellenti per insetti e controllando i vestiti e il corpo per verificare la presenza di zecche, in particolare quando si visitano aree con erba alta come boschi, brughiere e parchi. Per quanto riguarda i vaccini, possono fornire protezione, ma solo per un tempo limitato, e non esiste una cura.

Il periodo di incubazione, in media, dura sette giorni e raramente può prolungarsi fino a 28 giorni. Per via alimentare, in genere, l’incubazione dura intorno ai quattro giorni. Sebbene i casi siano per la maggior parte asintomatici, il virus può provocare encefaliti, con una fase iniziale caratterizzata da febbre, mal di testa e mialgia. Nei casi più gravi segue, dopo circa una settimana dall’apparente guarigione clinica, una seconda fase della malattia, con meningoencefalite o mielite. Quest’ultima tende a causare paralisi flaccida dell’arto superiore e della spalla dei muscoli respiratori. Il coinvolgimento bulbare (tronco cerebrale) può porta a insufficienza respiratoria e persino alla morte.

Le zecche vettore appartengono tipicamente a generi della famiglia Ixodidae (zecche dure): Ixodes, Dermacentor, Haemaphysalis. Oltre che vettori, tali animali sono anche serbatoi di riserva del virus in grado di garantirne la persistenza nell’ambiente tramite la trasmissione transovarica (l’infezione si trasmette attraverso le uova dalla madre alla prole), transtadiale (da larva a ninfe e/o da ninfe ad adulto), per co-feeding (zecca che effettua il pasto di sangue accanto ad un’altra infetta). L’uomo è il principale ospite terminale, insieme a piccoli animali selvatici, per lo più roditori, che sono ospiti comuni.

Negli ultimi anni la TBE è diventata un problema emergente per la salute pubblica a causa dell’incidenza in aumento e della sua espansione in varie aree geografiche. È più comune in Russia e in alcune parti della Cina e del Giappone, ma si trova regolarmente in tutta Europa. Malgrado ciò, dal 2019 sono stati segnalati solo tre casi probabili nel Regno Unito, e quello più recente è stato confermato nel 2022.

In Italia la malattia è stata identificata per la prima volta nel 1994, in provincia di Belluno. Da allora i principali focolai hanno riguardato il Veneto e il Friuli Venezia Giulia, con un picco di 19 casi a livello nazionale nel 2002. Nel 2021 il sistema di sorveglianza ha segnalato 18 casi confermati di infezione neuro-invasiva – TBE: 14 casi autoctoni, 4 collegati a un viaggio all’estero, con un’età mediana di 52 anni, 67% di sesso maschile e nessun decesso. Nel territorio dell’Azienda Usl di Bologna, negli ultimi dieci anni, sono stati notificati un caso nel 2012 e due nel 2020.

Redazione Nurse Times

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