Gent.mo Direttore di Nurse Time, sono Elisa Pavesio infermiera presso un’unità territoriale INAIL. Ho letto sul vostro sito un’affermazione che credo riassuma tutto: affidare la vaccinazione a chiunque sia in grado di fare una “puntura” (termine usato impropriamente per definire una terapia intramuscolare); ho letto che per fare una “puntura” non c’è bisogno di avere una laurea e che infondo è solo un atto meccanico.
Pur volendo credere nella buona fede di chi si fa promotore di certe proposte nella speranza di accelerare la campagna vaccinale; una cosa non ho ancora letto che credo possa rispondere a queste affermazioni ,essendo essa stessa la triade costituente della professione infermieristica: IL SAPERE – IL SAPER FARE -IL SAPER ESSERE.
“Sapere”, riguarda la conoscenza teorica, il quadro di riferimento in cui l’infermiere inserisce il proprio operare “Saper fare” è la pratica. Gestione delle dinamiche interpersonali, rispecchiamento e accoglienza delle emozioni, lettura del linguaggio corporeo, gestione delle proiezioni – proprie e dell’interlocutore “Saper essere” è il punto più delicato, riguarda la capacità dell’Infermiere di “esserci nella relazione”; e quindi di conoscere bene se stesso, prima di tutto. Tutti quegli atteggiamenti che dovranno essere utilizzati con un paziente, dovrà metterli in atto prima di tutto con se stesso: ascolto, empatia, accettazione e rispetto.
SAPERE indica che la somministrazione di un farmaco per via intramuscolare non può essere ridotta ad un atto meccanico, ma impone una conoscenza ben specifica del farmaco che si va a somministrare, e soprattutto richiede una competenza nella gestione di eventuali eventi avversi che all’atto pratico significa garantire la sicurezza del paziente.
SAPER FARE la pratica di un’iniezione intramuscolare, per citare alcuni elementi della procedura, implica la conoscenza del punto di repere (cioè quali sono i siti anatomici idonei all’inoculazione di un farmaco per via intramuscolare); la raccomandazione o meno di praticare la manovra di Lesser a seconda del sito di iniezione e del farmaco da somministrare, la valutazione del sito di iniezione intesa come la sua idoneità a ricevere quel farmaco in quel dosaggio, la capacità di accogliere e gestire le emozioni del paziente rispetto alla terapia che gli viene somministrata.
Ma arriviamo al punto a me più caro della figura dell’infermiere: SAPER ESSERE. Il saper essere l’ho sempre immaginato come il giardino nel quale crescono il sapere e il saper fare. Ecco perché una terapia vaccinale non può essere ridotta ad un mero atto meccanico, ecco perchè per praticare una terapia intramuscolare è necessaria una laurea, ecco perché la sicurezza del paziente e le sue emozioni, il rispetto che gli è dovuto non possono essere affidate a chiunque se pur di animo nobile e magari anche capace di praticare un’intramuscolare.
Il percorso di studi per conseguire la laurea in scienze infermieristiche, non è solo un percorso di apprendimento ma è la costruzione umana, scientifica, etica e deontologica di un professionista che si rende garante della salute dei suoi assistiti.
Se queste caratteristiche proprie della professione infermieristica venissero riscoperte e valorizzate, non dovremmo più assistere ad obblighi legislativi in merito alle vaccinazioni, perché vaccinarsi, per un professionista sanitario è l’espressione naturale e concreta del sapere, del saper fare e soprattutto del saper essere non fosse altro per quella posizione di garanzia che l’infermiere assume nei confronti dei propri assistiti: IO MI PROTEGGO PERCHE’ HO IL DOVERE DI PROTEGGERTI.
Se poi riscoprissimo il valore della competenza non leggeremo più proposte come quella di voler trasformare gli OSS in infermieri, oppure che è possibile somministrare un vaccino senza la presenza di un medico.
In ultimo credo che un altro valore che ci porterà fuori da questo momento di difficoltà, è l’umiltà quella che mette al centro il paziente e la sua vita, quella che dà valore a tutto, quella che ci unisce nello sforzo immenso di salvare più vite possibili onorando così le troppe vie che il COVID ha portato via.
Elisa Pavesio Infermiere OPI TORINO
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