ECMO è l’Ossigenazione extracorporea a membrana (acronimo inglese di ExtraCorporeal Membrane Oxygenation), una procedura di circolazione extracorporea con lo scopo di affidare temporaneamente le funzioni di cuore e polmoni ad un macchinario esterno e intervenire con un trattamento medico sul paziente.
Quindi non è un intervento curativo, ma possiamo considerarlo come un mezzo che permette il supporto delle funzioni vitali mentre altre terapie vengono attuate.
Tale procedura è indicata nel momento in cui risulta altamente compromesso ed insufficiente il sistema cardio-respiratorio, con ipossia refrattaria al trattamento medico massimale (P/F<100; PH <7.2), arresto cardiaco refrattario, embolia polmonare massiva con quadro di shock e/o controindicazione alla terapia riperfusiva mediante agente trombolitico, quadri di shock cardiogeno conseguenti ad estesi infarti miocardici o a complicanze di interventi di cardiochirurgia, aritmie ventricolari refrattarie, intossicazione da farmaci cardioattivi. Ulteriore indicazione è la presenza di severa ipotermia, inferiore a 32°C.
L’ossigenazione extracorporea a membrana si avvale di un macchinario cuore-polmone simile a quello della circolazione extra-corporea.
Il circuito, tramite un tubo e una pompa, preleva sangue dal paziente e lo immette nel polmone artificiale, qui il sangue subisce un processo di ossigenazione con rimozione di anidride carbonica. Viene reimmesso in circolo nell’organismo dopo essere stato riscaldato in seguito alla perdita di calore al di fuori del corpo.
Il prelievo sanguigno avviene dal circolo venoso, mentre la reintroduzione del sangue ossigenato può avvenire sia nel circolo venoso (ECMO VV: veno-venosa) sia in quello arterioso (ECMO VA: veno-arteriosa):
- l’ECMO VV viene effettuata attraverso accessi vascolari in giugulare interna e vena femorale ed è usata per grave insufficienza respiratoria quando la funzione cardiaca non è compromessa.
- l’ECMO VA si basa su accessi in arteria e vena femorale, ed è utilizzata quando è necessario sostenere la funzione di pompa cardiaca, dal momento che ha azione diretta sulla pressione arteriosa.
È una procedura invasiva. Presenta infatti una serie di rischi, vista anche la fondamentale importanza degli organi coinvolti: c’è da dire infatti che presenta un’elevata mortalità. I rischi più frequenti sono emorragia arteriosa, emolisi, trombocitopenia, trombosi, embolie gassose, e anche ischemia dell’arto inferiore coinvolto nell’incannulamento dell’arteria femorale.
Il ruolo dell’infermiere ricopre assoluta importanza, dovendo gestire in prima persona le funzioni vitali di base, la continua assistenza al paziente, il controllo della complessa attrezzatura e la sicurezza del trasferimento. Per questo è necessaria una specifica formazione del personale infermieristico coinvolto.
L’assistenza infermieristica prevede il monitoraggio dei parametri vitali, ventilatori ed emodinamici, del bilancio idrico, della emogasanalisi, la gestione delle linee infusive e della somministrazione della terapia. Inoltre, prevede il controllo di eventuali segni di ischemia degli arti o di foci emorragici, delle infezioni, la gestione delle apparecchiature, della mobilizzazione del paziente e della sua igiene.
Pertanto risulta evidente come il personale infermieristico debba possedere elevata professionalità e competenza specialistica. Il rapporto infermiere-paziente è 1:1.
L’ECMO può essere considerata un’opzione terapeutica in caso di infezione derivante da Coronavirus, per il trattamento di pazienti con ARDS (Sindrome da distress respiratorio acuto) in condizioni critiche con insufficienza polmonare acuta e ipossiemia refrattaria, nonostante l’uso di tutte le misure standard correlate alla terapia.
A pandemia iniziata, questa procedura è stata considerata un vero e proprio salto nel vuoto: pochi i casi su cui poter basare il processo, e poche le evidenze scientifiche, da dover tentare “il tutto per tutto” pur di salvare pazienti in condizioni critiche.
Alcuni casi di pazienti covid positivi supportati dall’ECMO hanno dato risultati incoraggianti nel New York University Langone Health (NYULH): un numero significativo di questi pazienti è stato dimesso dall’ospedale.
Si tratta di pazienti con uno stato funzionale precedentemente normale e nessuna comorbidità medica preesistente pericolosa per la vita.
Un team multidisciplinare specializzato di chirurghi cardiotoracici, rianimatori pneumologi ed infermieri si è occupato di questi pazienti, trattandoli come nei tradizionali casi di sindrome da distress respiratorio.
Per ogni paziente sono state utilizzate strategie di ventilazione polmonare protettiva con basse pressioni inspiratorie e bassa FiO2 per prevenire lesioni polmonari associate al ventilatore, e nei casi in cui è risultato opportuno, sono pronati manualmente.
Sono state eseguite tracheostomie in tutti i pazienti per ridurre al minimo l’aerosol, con un rischio decisamente ridotto di trasmissione virale agli operatori sanitari. Questo ha consentito una migliore gestione della secrezione delle vie aeree.
Inoltre, in questi pazienti sono state eseguite broncoscopie e BAL per diagnosticare la presenza di eventuali infezioni concomitanti. La combinazione di queste strategie ha sicuramente contribuito ai promettenti risultati.
In Italia possiamo trovare validi rifermenti al trattamento con ECMO: l’IRCCS Ospedale San Raffaele, l’Ospedale di Bolzano, il Sant’Anna di Como, il Policlinico San Donato. Per i pazienti covid-positivi l’Ossigenazione extracorporea a membrana è stata la misura di terapia intensiva rimasta per offrire una possibilità di sopravvivenza, con risultati in seguito incoraggianti.
Le conoscenze avanzate e l’esperienza di medici intensivisti, perfusionisti ed infermieri ha permesso la gestione dei pazienti critici e ha sottolineato l’importanza di questa procedura altamente invasiva tanto da poterla considerare un vero e proprio intervento salvavita.
Francesca Pia Biscosi
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