Gli aderenti al Movimento Nazionale Infermieri hanno inscenato un flashmob dai reparti di tutta Italia per chiedere la rimozione del vincolo di esclusività.
“Sono disponibile a vaccinare, ma lo Stato non me lo permette”. Centinaia di membri del Movimento Nazionale Infermieri (MNI), si fanno fotografare con mascherina, camice e cartello in mano per un flashmob virtuale dai loro reparti, protestando contro un sistema che li limita. “Rimuovere il vincolo di esclusività subito”, scrivono, riferendosi alla clausola contrattuale che ad oggi impedisce loro di prendere parte alla campagna vaccinale anti-Covid.
Il vincolo legislativo contenuto nel Contratto collettivo nazionale del lavoro relativo al personale del comparto Sanità, vieta agli operatori sanitari delle strutture ospedaliere, pubbliche e private, di dedicarsi alla professione anche al di fuori dell’azienda. Il rapporto intrattenuto con il datore di lavoro è di completa esclusività, “vincolo non previsto per i medici, che invece esercitano anche intromoenia e al di fuori delle strutture”.
A spiegare «la gabbia ingiusta» è Diego Roviti, tra i fondatori del Movimento apartitico, infermiere del San Camillo di Roma e ora impegnato al Cotugno di Napoli per l’emergenza Covid: «È una guerra che la categoria combatte da molto tempo e che alla luce dei mesi di lotta al virus passati in prima linea e delle promesse dall’alto mai mantenute, deve essere ora portata avanti come non mai».
Il riferimento è alle vaccinazioni, per le quali gli infermieri a contratto pubblico o privato non potranno prestare servizio: «Sappiamo bene quanto in questi mesi non ci siamo mai sottratti alla fatica della lotta al virus, abbiamo fatto una scelta di vita. Ora per i vaccini siamo fuori gioco e alla luce di una campagna che continua a rallentare, l’assenza di libertà di professione appare ancora più ingiusta».
Uno dei problemi principali per il piano strategico nazionale è senza dubbio quello della disponibilità di operatori sanitari: «Il parafulmine del commissario Arcuri finora è stato quello dei ritardi delle dosi. Ma quando le forniture arriveranno in tempo, e in parte già sono arrivate, il problema più evidente sarà quello di recuperare operatori sanitari in un numero sufficiente a reggere il ritmo necessario». E in effetti, già per rispettare la promessa dei 7 milioni di immunizzati entro marzo, il ritmo di iniezioni giornaliere dovrebbe passare dalle 65mila attuali alle 24 mila necessarie praticamente da subito.
Occorrono sedi, strumentazioni e, non ultimi, operatori: «Il bando di reclutamento diffuso a metà dicembre dal Commissario prevedeva la partecipazione esclusiva di infermieri disoccupati o inoccupati, una categoria dal numero molto esiguo, vista l’emergenza che da mesi ha chiamato gli operatori sul campo. Per non parlare delle condizioni offerte dalle agenzie interinali».
Il dibattito sulla questione dell’esclusività è più che mai aperto. Se da una parte, la chiamata della Regione Lombardia su base volontaria ha per esempio destato indignazione e polemiche tra la categoria, dall’altra c’è chi accusa gli operatori sanitari “di non accontentarsi”.
«Abbiamo lauree magistrali e master, perché a differenza di tutti gli altri operatori della Sanità per noi dovrebbe valere la regola della base volontaria? Siamo dei professionisti e non dei martiri». A rispondere alle obiezioni è Daniela Maggio, in servizio come infermiera all’Ospedale Policlinico di Milano, referente regionale per la Lombardia del Movimento Nazionale di categoria.
La risposta è anche per chi invita gli operatori a lasciare spazio a chi non ha un contratto corrente: «Dove sono tutti queste persone da impegnare nelle somministrazioni? Se ci fossero, lasceremo volentieri il posto, ma di fatto c’è un bando a cui hanno risposto in 4 mila, con circa 800 euro netti di retribuzione offerta dalle agenzie interinali a professionisti laureati».
Il nodo dei 30mila infermieri necessari per l’immunizzazione dell’intera popolazione italiana rimane di fatto ancora un problema da risolvere: «Persino quelli che non hanno un contratto lavorativo hanno rifiutato le condizioni minime decise del Governo. La sottovalutazione della nostra figura professionale oggi è ancora più evidente, una questione di salute ma anche culturale che dopo tutte le morti in corsia avvenute in questi mesi è necessario rivoluzionare».
Redazione Nurse Times
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