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Diabete di tipo 1: ingegneria genetica e staminali per cambiare le sorti dei pazienti

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Diabete di tipo 1: come comportarsi a scuola
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I ricercatori del San Raffaele hanno dimostrato come sia possibile rendere invisibili al sistema immunitario le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) e le cellule insulino-secernenti (cellule β) da esse derivate, attraverso tecniche di ingegneria genetica.

Per il diabete di tipo 1, definito anche “la pandemia silente del nuovo millennio”, inizia una nuova epoca. Se fino a qualche anno fa si cercava il confine tra mito e realtà, oggi possiamo finalmente dire che il 2023 potrebbe segnare l’anno della svolta, dopo che le agenzie regolatorie di sei Paesi europei, Italia compresa, hanno valutato le domande per avviare le prime sperimentazioni con terapie cellulari da staminali pluripotenti. Queste ultime si trovano negli embrioni, nel feto, nella placenta e cordone ombelicale, e nell’ultimo decennio hanno guadagnato una notevole attenzione come fonte potenzialmente illimitata di cellule terapeuticamente rilevanti per la medicina rigenerativa.

Tuttavia l’applicazione clinica deve affrontare alcuni problemi specifici della malattia. In particolare, sebbene i pazienti con diabete di tipo 1 (T1D) possano trarre beneficio da terapie basate su cellule produttrici di insulina derivate da iPSC autologhe, la presenza di risposte autoimmuni rappresenta un ostacolo significativo. Uno studio condotto in collaborazione con l’Unità di Trasmissione e Evoluzione Virale del San Raffaele, e con l’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget), ha dato risposte importanti, che potrebbero cambiare per sempre il destino del diabete di tipo1.

In che modo le cellule staminali possono cambiare le sorti dei pazienti affetti da diabete di tipo 1? Lo spiega Stefania Fumarola, biologa e responsabile scientifica di In Scientia Fides: “Le cellule staminali del sangue del cordone ombelicale sono uniche perché non solo hanno la capacità di svilupparsi in altri tipi di cellule, ma sono anche immunotolleranti, ovvero hanno meno probabilità di provocare una risposta immunitaria. Contengono un numero maggiore di cellule T regolatorie, uno specifico tipo di globuli bianchi che aiuta a mantenere in equilibrio il sistema immunitario. Ciò rende le cellule staminali del sangue del cordone ombelicale potenzialmente utili per il trattamento di malattie in cui il sistema immunitario si è ‘smarrito’, proprio come il diabete di tipo 1”.

I ricercatori del San Raffaele, coordinati dal professor Lorenzo Piemonti, direttore dell’Istituto di Ricerca sul Diabete (DRI) del San Raffaele, hanno dimostrato come sia possibile rendere invisibili al sistema immunitario le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) e le cellule insulino-secernenti (cellule β) da esse derivate, attraverso tecniche di ingegneria genetica. Un importante passo in avanti nel campo della medicina rigenerativa e dell’utilizzo delle iPSC per la cura del diabete di tipo 1, ostacolato fino a oggi dalla risposta auto-immune tipica della patologia.

Ma non è tutto. La vita dei soggetti affetti da diabete di tipo 1, infatti, potrebbe completamente cambiare in meglio grazie a una nuova terapia con cellule staminali (presentata da ViaCyte in occasione di ENDO 2022, l’incontro annuale della Endocrine Society) che sarebbe in grado di creare un “pancreas sostitutivo”, aiutando i pazienti a regolare i loro livelli di zucchero nel sangue.

Secondo i ricercatori della Endocrine Society, questo potrebbe porre fine alla necessità per alcune persone di iniettarsi l’insulina. Infatti il pancreas delle persone con diabete di tipo 1 produce poca insulina, ma la terapia chiamata PEC-Direct potrebbe essere un’alternativa. Le persone che hanno usufruito di questo trattamento hanno visto aumenti nella produzione di peptide C, una sostanza che il pancreas produce insieme all’insulina.

Il peptide C e l’insulina vengono rilasciati dal pancreas in quantità approssimativamente uguali. Questo significa che la misurazione del peptide C può mostrare quanta insulina sta producendo il corpo. È la prima volta che aumenti sostanziali del peptide C sono stati dimostrati nei diabetici di tipo 1, utilizzando una terapia a base di cellule staminali.

Redazione Nurse Times

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