Riceviamo e pubblichiamo un contributo a cura di Infermieri in cambiamento.
Ogni infermiere, nella vita quotidiana lavorativa, è sottoposto a stress psico-fisico, lotte intesine per ottenere quel cambiamento che si auspica ormai da troppi anni. Dignità e valorizzazione professionale calpestate a discapito di quella che in realtà la scienza infermieristica presenta e potenzialmente offre. Quanto sarebbe più semplice ottenere il consenso e successivamente un possibile cambiamento attraverso un paradigma unitario?
Nel corso degli anni, la categoria infermieristica si è distinta in maniera negativa da una sorta di divisione interiore ingiustificata, generata da un evoluzione giuridica che ha innestato cambiamenti teorico-pratici rimasti aleatori ed allo stesso tempo empirici nella realtà dei fatti. Questa cosiddetta divisione ha generato due fazioni: quella dei “nostalgici”, ovvero infermieri legati ancora a metodologie standard vetuste ed anacronistiche, e quella degli “evoluti” ovvero infermieri che attraverso un percorso di studi accademico fondato sul “nursing” inteso come scienza, hanno acquisito un modus cogitandi permettendo loro di cogliere in pieno la reale chiave di lettura della professione.
Nello scenario sanitario attuale sono impegnati circa 430mila professionisti la maggior parte dei quali, eroga assistenza infermieristica secondo la fazione dei “nostalgici”, una fazione che il sistema stesso accetta in quanto permette risparmio sui costi, sui budget aziendali e quant’altro. Dall’altro canto a rimetterci è la qualità e salute del cittadino, screditando appunto la mission e la vision per le quali l’infermiere è impegnato, ovvero garantire salute e benessere al cittadino, come recita l’art. 32 della costituzione italiana sottolinea.
Detto ciò, è importante soffermarsi sull’importanza del dissenso come arma per sconfiggere il pensiero unico dominante, attraverso un pensiero critico con la consapevolezza di poter apportare un cambiamento a tutto il sistema sanitario nazionale in termini di qualità ed efficienza.
E’ necessario, oggi come non mai, ragionare e dissentire su ciò che la fazione dei “nostalgici” porta avanti, ovvero quel concetto di ancestralità che il sistema sanitario avalla per mere questioni d’interesse economico. Il dissenso ha sempre contraddistinto l’uomo negli anni dai tempi di Prometeo fino alle ultime vicende legate al TAV e, soprattutto, ha rappresentato una costante nella storia. Il dissenso è sintomo di libertà, quest’ultima a sua volta produce pensiero critico, che si traduce in un “dire di NO” a quello che il potere tende ad imporre.
Cosa sarebbero in grado di fare 430mila professionisti che dissentono la prassi ordinaria? Attraverso la libertà di pensiero che ogni singolo sviluppa, si convoglierà nel consenso configurando un paradigma unitario che può fare davvero la differenza nel panorama sanitario, restituendo dignità e senso di appartenenza ad un pool di professionisti che la rivendicano da anni.
Imparando a rifiutare, a ribellarsi, a contestare, si può creare uno spiraglio positivo contro l’uniformazione di massa delle coscienze che ci permette di pensare altrimenti. Il precursore del cambiamento è, appunto, il dissenso, ottenibile solo attraverso una sensibile presa di coscienza ed un unione d’intenti di tutti gli infermieri, ergendosi autonomi e liberi con un atto comune di rivoluzione generando consenso. E se questa unione d’intenti non viene generata? Bisognerà far leva sulla fazione degli “evoluti” rivendicando diritti e doveri con le modalità sopra indicate, per poi cercare di trascinare anche i più “nostalgici”. Liberarsi dalle catene e dalla manipolazione di massa attraverso il dissenso, è il primo passo da intraprendere per cercare di indurre un cambiamento nella nostra professione, poi è necessario unire il dissenso generale attraverso il libero pensiero, creando un atto di rivoluzione comune che porta al consenso. Uniti si può.
Concludiamo citando un pensiero di Spengler: “Un tempo non era permesso a nessuno di pensare liberamente. Ora sarebbe permesso, ma nessuno ne è più capace. Ora la gente vuole pensare ciò che si suppone debba pensare. E questo lo si considerà libertà”.
Redazione Nurse Times
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