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Da infermiere a prescrittore di farmaci: la storia professionale di Samuele Boschi in UK

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Da infermiere a prescrittore di farmaci: la storia professionale di Samuele Boschi in UK
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Samuele Boschi, infermiere intervistato da il Resto del Carlino racconta la sua avventura lavorativa in UK

Doveva essere solo un anno invece Samuele Boschi, dopo la laurea in infermieristica conseguita a Pesaro nel 2014, a casa non è più tornato. Fa l’infermiere a Leicester, due ore a nord di Londra; lavora tre giorni a settimana e guadagna sopra le 2300 sterline (che sono quasi 2700 euro).

Tra l’altro, non è nemmeno più un semplice infermiere ospedaliero, quello che gli inglesi chiamano staff nurse. Adesso è un Advanced Clinical Practitioner (in sostanza un infermiere di pratica avanzata), una figura che in Italia nemmeno esiste, e che consente all’infermiere di prendersi in carico i propri pazienti, di decidere il piano terapeutico, di prescrivere farmaci. Un quasi-dottore, insomma. Per diventarlo, ha dovuto fare un master.

Samuele Boschi ha un percorso professionale fuori dall’ordinario. Dopo aver conseguito la laurea in infermieristica a Pesaro nel 2014, ha intrapreso un’avventura che lo ha portato in un mondo completamente diverso da quello che aveva immaginato. Oggi lavora come infermiere specializzato in una delle città più vivaci del Regno Unito, Leicester.

“Mi sono laureato nel novembre del 2014”, racconta Samuele, “e da allora vivo in Inghilterra”. Ma cosa lo ha spinto a lasciare l’Italia e perseguire una carriera all’estero? “Al terzo anno di università ho cominciato a pensare a fare un’esperienza di questo tipo”, spiega. Nel 2015, Samuele ha fatto il grande passo e si è trasferito in Inghilterra, dove ha iniziato a lavorare presso il Glenfield Hospital, un ospedale specializzato in malattie cardiovascolari e respiratorie.

Ma la sua carriera non si è fermata qui. “Sì, perché dopo un anno mi hanno mandato a fare tre anni di master universitario e ora sono Advanced Clinical Practitioner, una figura che non esiste in Italia. Praticamente sono indipendente, faccio il giro visita, prescrivo farmaci, decido le terapie. Ovviamente devo confrontarmi con lo specialista, ma fondamentalmente mi prendo in carico i pazienti. È un lavoro equivalente al medico ma con dei limiti”, spiega con orgoglio.

La sua carriera è un esempio del sistema sanitario britannico che valorizza il progresso professionale. Samuele ha avuto l’opportunità di completare il suo master, finanziato dall’ospedale, compresi i libri di testo. Questa crescita professionale ha portato a un aumento significativo del suo stipendio. “All’inizio ero sulle 1400 sterline, che potevano arrivare a 1600 (circa 2000 euro) in base ai turni. Ora sono sopra le 2200/2300 sterline. In Italia penso che neanche con gli scatti di anzianità ci potrei arrivare”, sottolinea.

Le differenze tra il sistema sanitario italiano e quello britannico sono notevoli. In Italia, spesso si sente parlare delle difficoltà dei lavoratori nel settore sanitario, compresi problemi con permessi e ferie. In contrasto, il sistema britannico incoraggia la crescita professionale e il benessere dei dipendenti.

Samuele non è l’unico straniero a lavorare nel suo reparto. “No, siamo tanti, da tutta Europa e ultimamente soprattutto da India e Pakistan”, condivide.

La sua settimana lavorativa riflette il ritmo britannico. “Qui funziona che la maggior parte degli infermieri fa turni di 12 ore, per 37 ore e mezzo settimanali. Quindi fai 3 turni a settimana che possono essere di mattina, poi hai lo smonto e due o anche tre giorni di riposo. Io lavoro a turni fissi, faccio lunedì, mercoledì e venerdì e gli altri giorni sono a casa”.

Nonostante il successo e la gratificazione professionale che ha trovato all’estero, Samuele riconosce il valore dell’educazione e della formazione che ha ricevuto in Italia.

“Dobbiamo esserne fieri. Le conoscenze tecniche del personale italiano non sono seconde a nessuno. Ma la retribuzione deve essere comparata al livello di responsabilità che hai, cosa che in Italia non accade”.

E quando gli chiediamo se l’Italia gli manca, sorride e dice: “Alla mia compagna l’ho detto, appena vado in pensione il giorno dopo ho la valigia pronta e il biglietto aereo. Voglio finire in Italia con la Vespa e il giornale sotto braccio”.

La storia di Samuele Boschi è solo un esempio di come la formazione universitaria italiana portata all’estero apre porte inaspettate e offre opportunità di crescita professionale uniche.

Redazione NurseTimes

Fonte: Il Resto del Carlino

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