Nuove informazioni relative all’emergenza Coronavirus in italiana sono state diramate nell’ultimo bollettino diramato dal Ministero della Salute.
In Lombardia, la regione più colpita dal Covid-19, i pazienti che attualmente sono in condizioni critiche e necessitano di un ricovero in un reparto di Rianimazione sono 244, il 13% dei casi positivi totali.
In Italia invece, mediamente il 10% dei contagiati ha bisogno di cure intensive per debellare l’infezione.
Analizzando la curva epidemiologica elaborata dagli esperti dell’Unità di Crisi della Regione Lombardia i numeri sono destinati a crescere: si prevedono infatti 8.000 contagi entro il 22 marzo. Di questi, 1250 potrebbero risultare critici, andando a rappresentare una crisi sanitaria senza eguali dal Dopoguerra.
Una corsa contro il tempo è pertanto iniziata lo scorso 1º marzo, considerando che i posti letto disponibili nelle Terapie Intensive lombarde sono solo 900. Il Ministero della Salute ha pubblicato una circolare che prevede «un incremento del 50% dei posti in terapia intensiva e del 100% nelle unità di Pneumologia e Malattie infettive».
Per risolvere la criticità l’idea sarebbe quella di convertire diversi reparti ordinari e sale operatorie in unità nelle quali assistere i pazienti più critici.
È stata l’ESICM (European Society of Intensive Care Medicine) a ribadire come la terapia intensiva sia la specialità medica che supporta i pazienti la cui vita è in pericolo immediato.
«Nel caso dell’infezione derivante da Coronavirus può rendersi necessaria per fornire ventilazione artificiale a causa delle gravi difficoltà respiratorie che il patogeno può innescare – spiega Giuliano Rizzardini, virologo dell’Unità di Crisi del Sacco di Milano – La terapia applicata è quindi quella di supporto ad una polmonite tradizionale che va dalla prevenzione di complicanze alla nutrizione per i pazienti che non possono mangiare da soli.
A questa va aggiunto il consumo della protezione individuale del personale che è forse il problema principale che stiamo affrontando oltre a quello dei posti letto: alcuni ospedali fanno fatica ad approvvigionarsi. Le protezioni sono tutte mono-uso, il singolo operatore che lavora in un reparto a regime Covid si cambia più volte all’interno del turno perché i dispositivi perdono di efficacia dopo alcune ore.
E la situazione è resa ancora più drammatica dal rapporto personale/paziente che molto più alto rispetto ad un reparto normale. Questo mette a rischio il sistema, in quanto una dotazione non sufficiente mette a repentaglio la salute dei dipendenti, chiaramente molto più esposti al contagio».
Particolare attenzione viene dedicata dalle aziende ospedaliere anche al contenimento della spesa da coronavirus: ai costi fissi ordinari devono essere aggiunti quelli necessari per la vestizione del personale e per le terapie farmacologiche antivirali che si basano sulla somministrazione di Ritonavir, utilizzato anche per l’infezione da Hiv e di Remdesivir, somministrato per l’epatite e potenzialmente attivo contro il nuovo virus.
“Se la vulgata medica attesta il costo medio giornaliero di un paziente in terapia intensiva intorno ai 1.200/1.300 euro. – conclude Magnone – Nel caso specifico del Covid-19 va aggiunto un 20%, per cui si arriva almeno a 1.500. Considerato un periodo di degenza medio di due settimane, un paziente con complicanze derivanti da Coronavirus può costare più di 20.000 euro allo Stato”.
Per fronteggiare questa enorme spesa, il governo punterà a destinare circa un miliardo di euro al Servizio sanitario nazionale con un nuovo decreto anti-epidemia il più presto possibile.
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