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Coronavirus: polemiche sul trattamento con plasma iperimmune

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Coronavirus: polemiche sul trattamento con plasma iperimmune
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Acceso dibattito social sul protocollo sperimentale che ha preso il via dagli ospedali di Pavia e Mantova. I Nas hanno chieso informazioni sulla cura di una donna incinta.

Nei giorni scorsi il Centeo Nazionale Sangue ha annunciato l’avvio, presso il Policlinico Universitario San Matteo di Pavia, di un protocollo sperimentale per trattare i pazienti affetti da Covid-19 con il plasma iperimmune dei pazienti guariti. A portare avanti lo studio è l’equipe del dottor Cesare Perotti, responsabile del servizio di Immunoematologia e medicina trasfusionale.

Il protocollo prevede il prelievo del plasma, tramite procedimento di plasmaferesi, da un gruppo di pazienti Covid-19 donatori, la cui guarigione sia accertata da due tamponi negativi effettuati in due giorni consecutivi. Tali donatori hanno quindi sviluppato degli anticorpi contro il virus Sars-CoV-2. Il loro plasma sarà quindi infuso in una serie di pazienti sintomatici tra quelli ricoverati in terapia intensiva. I singoli pazienti saranno sottoposti a un massimo di tre trasfusioni da circa 250-300 ml di plasma in cinque giorni. L’utilizzo di una terapia a base di plasma iperimmune per trattare il Covid-19 è già stato oggetto di sperimentazione in Cina, e in passato tale tipo di terapia è stata usata, anche in Italia, per trattare i pazienti affetti da virus Ebola nel 2014.

Tuttavia la notizia non ha mancato di dare il via alla diffusione di un’accesa discussione sui social, con tanto di travisamenti e informazioni fuorvianti. Il tutto “condito” da critiche e attacchi nei confronti di chi, all’interno della comunità scientifica, preferisce rimanere prudente sulla reale efficacia della sperimentazione con il plasma iperimmune per curare i malati di coronavirus. Per questo Gianpietro Briola, presidente Avis, ha ritenuto opportuno intervenire per chiarire alcuni concetti chiave. Lo ha fatto dapprima attraverso un video, poi attraverso la seguente lettera aperta.

“A seguito di messaggi che circolano nelle ultime ore su WhatsApp e Facebook, si vuole precisare e ribadire quanto già evidenziato relativamente alla terapia con plasma iperimmune contro il Covid-19. Si è dimostrato che in molti casi il plasma è efficace per gli anticorpi presenti nei soggetti guariti, ma con il plasma prelevato si somministrano anche sostanze non necessarie per il trattamento di determinate patologie. Quindi, rappresenta una terapia sperimentale ed emergenziale già nota per altre malattie.

Serve ora capire quali sono gli anticorpi efficaci, isolarli, purificarli e poi somministrare solo quelli in dose controllata e farmacologica. Come avviene per le immunoglobuline antitetaniche, ad esempio. È comunque importante sottolineare che questo approccio ha dimostrato che il plasma contiene degli elementi che funzionano contro il virus e lo neutralizzano.

Avis, insieme al mondo scientifico e al Centro Nazionale Sangue, sta seguendo con molta attenzione l’evoluzione e si sta adoperando per studiare queste opportunità. Al momento, però, è importante mantenere la calma e informarsi sempre attraverso fonti attendibili e non creare false aspettative. Appena conosceremo il test che meglio è in grado di rilevare e dosare questi specifici anticorpi e non appena le aziende di plasmaderivazione saranno in grado di produrre le immunoglobuline specifiche, coinvolgeremo la generosità dei donatori per la plasmaferesi”.

Tali chiarimenti non sono però bastati a evitare le polemiche tra addetti ai lavori sull’efficacia del trattamento. Polemiche alimentate anche da una telefonata dei Nas al “Carlo Poma” di Mantova (che conduce la sperimentazione insieme al San Matteo di Pavia) per chiedere informazioni sul caso di una donna incinta curata proprio con il plasma iperimmune.

Non si è fatta attendere la reazione di Giuseppe De Donno, direttore della Pneumologia dell’Ospedale mantovano, che ha scritto su Facebook: “Il plasma iperimmune ci ha permesso di migliorare ancora di più i nostri risultati. È democratico. Del popolo. Per il popolo. Nessun intermediario. Nessun interesse. Solo tanto studio e dedizione. Soprattutto è sicuro. Nessun evento avverso. Nessun effetto collaterale”.

Quindi, sul caso della donna incinta curata al “Poma”, ha aggiunto: “Ho letto su qualche quotidiano che la mia oramai figlioccia, non avrebbe avuto i requisiti per ricevere il plasma. Be’, nei criteri di esclusione non è prevista la gravidanza. Quindi, amici, tutto ok. Lo dico perché un protocollo va rispettato, ma certo, quando fosse possibile salvare vite, concorderei con la deroga per uso compassionevole”.

Lo pneumologo sta utilizzando il plasma su un altro giovane paziente, sottoposto alla seconda infusione. A tal proposito ha scritto: “Il nostro giovane amico, come vi avevo anticipato, sta sorprendentemente bene. Così anche Pamela (la donna incinta, ndr). Se qualcuno crede di scoraggiarmi, non ci riuscirà. Dopo l’infusione di plasma iperimmune, ormai amico mio, stai molto meglio. La febbre quasi scomparsa. Migliorata l’ossigenazione. Meno ore di ventilazione meccanica. Tutto come da protocollo. Non sempre riusciamo a salvare tutti. Ma il più delle volte sì. E se qualcuno volesse solo provare a intimidirmi, dovrà risponderne alla sua coscienza. La mia è limpidissima”.

In precedenza lo stesso De Donno aveva attaccato il virologo Roberto Burioni, che sul suo profilo Twitter aveva così parlato della cura già nota da tempo: “La terapia con siero (o plasma) iperimmune non è cosa nuova. Il primo premio Nobel andò a Von Behring nel 1901 per questa terapia, usata anche nel 1918 per la spagnola. La novità grossa ci sarà quando dati solidi diranno che funziona anche con Covid-19”.

Anche Raffaello Stradoni, direttore generale dell’Asst di Mantova, è intervenuto sulla telefonata dei Nas, smentendo l’acquisizione di cartelle cliniche: «Non so perché i Nas si siano interessati alla vicenda della donna incinta. Il protocollo sperimentale è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti con determinate caratteristiche». Nel protocollo, però, non sono previste infusioni su donne in stato interessante: «Ma quel caso – replica Stradoni – rischiava di finire male, e quindi abbiamo proceduto, salvando due vite».

L’importanza del plasma – Il plasma è la parte liquida del sangue ed è anche l’elemento essenziale nella terapia di alcune patologie. Ad esempio per trattare i gravi deficit combinati di fattori della coagulazione, oppure coagulopatie dovute a grave insufficienza epatica o trasfusioni massive. Può essere impiegato come terapia sostitutiva dei deficit di fattori della coagulazione, in emergenza, quando non sia disponibile il concentrato di uno specifico fattore della coagulazione. Tramite il processo di plasmaderivazione il plasma può essere utilizzato per creare farmaci (i cosiddetti plasmaderivati) necessari nel trattamento dell’emofilia, di malattie emorragiche congenite, delle immunodeficienze primitive e di molti disordini neurologici.

Redazione Nurse Times

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