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Coronavirus, per l’Oms è “allerta pandemica”.

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Coronavirus, per l'Oms è "allerta pandemica".
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Walter Ricciardi: “Non è più possibile bloccare la diffusione del virus. Si può solo cercare di limitare i danni”.

Il coronavirus non si può più fermare. Inquietante, a prima vista, questa affermazione dell’Organizzazione mondiale della sanità. Ma analizziamone il senso.

Per l’Oms ci troviamo nella fase 5, definita di “allerta pandemica”. Quella, cioè, nella quale si attua la risposta di contenimento. Gli infetti vengono isolati e i loro contatti tracciati e messi in quarantena. Ma, come è evidente dagli ultimi bollettini, ciò non impedisce al virus di diffondersi: serve soltanto a rallentarne la progressione.

«Stiamo già passando alla fase successiva di “mitigazione”, ossia quella di riduzione del danno, visto che non è più possibile bloccare la diffusione del virus», spiega Walter Ricciardi, rappresentante italiano nell’Executive Board dell’Oms e consulente del ministero della Sanità, Roberto Speranza.

L’incontrollabilità del virus è la premessa per la definizione di pandemia (letteralmente pan-demos, “tutto il popolo”). L’infezione, cioè, colpisce ormai tanti Paesi diversi e rappresenta una minaccia concreta per la salute dei cittadini di tutto il mondo. Per dichiarare questo stato, l’Oms ormai attende solo gli ultimi dati provenienti da Africa e America Latina, le ultime aree a essere interessate dal fenomeno.

Cos’è invece un focolaio? Si verifica quando una malattia infettiva causa un aumento improvviso di contagi all’interno di un’area ben circoscritta. È in sostanza ciò che è successo in Lombardia e Veneto, dove due focolai distinti hanno rappresentato l’innesco per la deflagrazione del virus in tutto il Paese nei giorni successivi.

Le autorità sanitarie hanno reagito seguendo i protocolli, isolando le zone interessate e gli infetti, e mettendo in quarantena tutti gli altri. Queste azioni servono a ridurre il più possibile la curva epidemica, allo scopo di alleggerire il peso sostenuto dal sistema sanitario e guadagnare tempo utile per la realizzazione di vaccini e terapie specifiche.

Laddove il livello di contagiosità del virus lo permetta, è possibile che la fase di contenimento porti anche alla fine dell’emergenza. È quanto successo in Africa per Ebola, virus che ha una mortalità altissima (50%), ma per fortuna una capacità di trasmissione molto più bassa.

Non è il caso del nuovo coronavirus, che mostra al contrario un tasso di letalità molto più contenuto (circa il 3,5%) – anche se molto più alto di quello dell’influenza stagionale – e una capacità di trasmissione molto più alta. Quando la trasmissione del virus diventa diffusa e non esiste più un vero e proprio focolaio si deve parlare di epidemia, ciò che sta avvenendo in questi giorni in Italia.

Redazione Nurse Times

Fonte: ItaliaSalute.it

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