Riceviamo e pubblichiamo una lettera aperta che l’operatrice socio-sanitaria Cinzia Califano ha inviato via mail al premier.
Egregio Presidente Conte,
mi scusi se la disturbo, lo so che è molto impegnato con l’emergenza coronavirus, ma spero che leggerà questa mia mail.
Mi chiamo Cinzia, sono un’operatrice socio-sanitaria e lavoro all’ospedale di San Giovanni Bianco, un ridente paesino della Val Brembana. Lavoro da circa due anni qui e vivo lontano dai miei affetti da circa cinque anni.
La vita scorreva più o meno nel solito modo, quando, alla fine di febbraio, siamo stati investiti dallo “tsunami Coronavirus”. I primi giorni senza nemmeno le mascherine! Abbiamo tutti continuato a fare il nostro dovere, anche sapendo di non venire tutelati nè dallo Stato nè dalla sanità. Per noi niente tamponi: ci ammalavamo e, se non avevamo febbre alta e difficoltà respiratorie, neanche una terapia specifica: solo tachipirina.
A coloro a cui è andata bene, come me, che mi sono presentata al Pronto soccorso del mio ospedale prima dell’inizio del mio turno con febbre a 37,4 (perché per la sanità puoi tuttora andare a lavorare con febbre non superiore a 37,5) e con dispnea, hanno fatto i tamponi, la radiografia, esame del sangue ed emogasanalisi. Allora, con l’evidenza di una polmonite intersiziale e con un tampone positivo, ti fanno stare a casa in quarantena, ma attenzione: tutto questo accadeva il 29 marzo!
E sa, signor Presidente, cosa mi è stato detto dal medico competente della struttura? “Non hai diritto agli infortuni sul lavoro perché puoi aver contratto il virus di fuori da qui”. Sono rimasta basita e ho risposto che, vivendo da sola, avevo sempre usato guanti e mascherinache dentro e fuori dall’ospedale e avendo sempre rispettato il distanziamento sociale, il Covid-19 avrei potuto contrarlo solo in ospedale. Così, il giorno dopo, il medico competente mi chiama e mi ha detto: “Sì, signora, le abbiamo riconosciuto gli infortuni sul lavoro”.
Signor Presidente, io ho vissuto e vivo il dramma nel dramma, perché prima di me i miei genitori, che vivevano al Meridione in casa assieme a mia sorella e a mia figlia, si sono ammalati e poi sono morti in ospedale a causa del coronavirus. Anche mia sorella è positiva e vive in casa con mia figlia, che fortunatamente, almeno al primo tampone, è risultata negativa.
Ora le chiedo, signor Presidente, può una persona uscire indenne sia fisicamente che psicologicamente da tutto ciò? Glielo dico io: “Assolutamente no!”. Anche se i tamponi che farò risultassero negativi, ciò non toglie che il fisico e la mente saranno provati per molto tempo.
Non è dato sapere se questo virus ci danneggia per sempre i polmoni o il cuore o Dio solo sa cosa. E le assicuro, signor Presidente, che i 100 euro che Lei così generosamente ci ha fatto trovare in busta paga questo mese non serviranno nemmeno per pagarmi una seduta dallo psicologo o una visita specialistica. Comunque la ringrazio e spero che lei faccia qualcosa di più tangibile per tutti gli operatori sanitari.
Distinti saluti,
Cinzia Califano
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