Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Antonella, una collega che ha sconfitto il Covid.
Fin da bambina ho sempre avuto le idee chiare su quello che volevo fare nella mia vita. Sono sempre stata dell’idea che ogni tipo di lavoro è un aiuto al singolo e alla società. Ma io cercavo il contatto umano, il poter aiutare sfiorando le mani di chi riceveva il mio aiuto. Così ho scelto di essere infermiera e ho amato questo lavoro ogni giorno di più.
Era il 24 febbraio e ricordo come dalla camera di un paziente sentii la notizia dell’arrivo del Covid in Italia. Pensavo che non sarebbe mai arrivato nella nostra struttura. Mi sbagliavo. Il tempo scorreva, le giornate al lavoro diventavano sempre più pesanti, ma allo stesso tempo aumentava la voglia di vivere, di combattere, perché la speranza che tutto questo presto sarebbe finito mi dava la spinta per alzarmi al mattino e scendere in campo. Le notizie si susseguivano e presto ci fu il primo paziente positivo. Da quel momento qualcosa di più grande di noi ci travolse. Trasformavamo i reparti e, con loro, le nostre vite.
E poi arrivò… Ero io di turno, quel pomeriggio, quando il primo decesso colpì la nostra struttura. Dopo aver messo in pratica il nuovo protocollo, preparai il paziente: ricordo di averlo spogliato completamente, poi disinfettato e messo dentro un sacco con cerniera. Anche se con qualche lacrima, non potevo tirarmi indietro, dovevo farmi forza da sola. La morte dei pazienti Covid è la cosa che più ti colpisce a livello umano. Si può morire in una stanza di ospedale, ma raramente si muore da soli.
Poi, la sera del 30 aprile – erano le 21:30 circa -, mi contattò la caposala per comunicarmi la positività. Per un attimo rimasi in silenzio, senza parole. Allora quel raffreddore non era solo allergia, quella stanchezza non era dovuta ai 21 giorni di lavoro senza riposo, ma alla fine era lui, il subdolo che era riuscito a entrare dentro di me, nonostante le tute, la maschera stretta, gli occhiali, i tripli guanti. Il Covid aveva vinto.
Ricordo come cercai di tranquillizzare i miei genitori e i nonni con lunghe telefonate e videochiamate. È così iniziò la mia quarantena, con giorni lunghi e interminabili, senza poter vedere nessuno, lontana dalla mia famiglia, dai miei colleghi, a cui pensavo spesso, perché non potevo dare il mio contributo. Mi sono sentita sconfitta, come se fossi caduta in battaglia.
Ma oggi ho vinto io. Sono negativa. Tornerò a combattere e a sorridere, come ho sempre fatto. Presto riabbraccerò la mia famiglia e le persone a cui voglio bene, e non vedo l’ora di potermi perdere in questi abbracci.
Antonella
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