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Coronavirus, infermiera in volo per riportare in Italia una paziente trasferita in rianimazione a Brema

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Coronavirus, infermiera in volo per riportare in Italia una paziente trasferita in rianimazione a Brema
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Fortunatamente i posti nelle Terapie Intensive non scarseggiano più come accadeva alcuni mesi fa, pertanto quei pazienti che erano stati trasferiti in ospedali oltre il confine nazionale possono ore fare ritorno in Italia.

Per poter rimpatriare i pazienti contagiati da Covid-19 che da un giorno all’altro si sono ritrovati negli ospedali della Germania è stato organizzato un team di sanitari specializzati in area critica che possa fornire supporto in volo.

Katia Benedini è infermiera da quasi trent’anni. Originaria di Cremona, ha alle spalle una lunga esperienza in sala operatoria e rianimazione. Presta servizio presso l’Azienda articolata territoriale di Cremona, punto di riferimento per il 118 sul territorio.

Riportiamo di seguito l’intervista rilasciata per il quotidiano “Il Giorno”.

Come è iniziata?

“Il 20 marzo ero di riposo. Verso mezzogiorno la mia coordinatrice mi ha ha telefonato per chiedere la mia disponibilità ad accogliere a Malpensa una paziente dimessa, uno dei sei trasferiti della rianimazione. Quando sono arrivata all’Aat ho appreso che in realtà sarei dovuta volare in Germania. La paziente era una donna di 53 anni, di origini macedoni ma cittadina italiana. Abitava a Vescovato. Dopo circa tre settimane di cure intensive e ventilazione meccanica all’ospedale di Brema, era stata estubata. I due tamponi eseguiti avevano dato esito negativo. Dopo una breve ventilazione veniva dimessa”.

Emozionata durante il viaggio?

”L’aereo era un jet adibito al trasporto sanitario, con tanto di barella e bolla di contenimento. Prima del volo un rapido corso di preparazione sull’uso del materiale che avrei trovato a bordo e le istruzioni di sicurezza. Eravamo io, il pilota e il secondo. Durante il viaggio mi sentivo tranquilla, anche se l’aereo ballava parecchio. Ero sicura delle mie competenze, solo un po’ preoccupata per la lingua”.

Come è stato l’incontro con la paziente?

“Non ho potuto prelevarla in ospedale perché, per ragioni di sicurezza, non mi era permesso di allontanarmi dall’aeroporto. A bordo pista c’era un’auto con un militare alla guida e la paziente sul sedile posteriore. Sono andata subito da lei. Le ho chiesto se stesse bene, di che aiuto avesse bisogno. Le ho spiegato che dopo una breve sosta per il rifornimenti di carburante saremmo ripartiti. Grozdana Krstevska era in condizioni discrete, solo debilitata dall’essere rimasta a lungo allettata e indebolita dall’eccessivo dimagrimento. E ovviamente era super felice di tornare a casa”.

Ha raccontato la sua storia?

“Grozdana aveva un gran bisogno di parlare con qualcuno dopo tanto tempo. È stato come ricostruire con lei la sua vita, soprattutto l’ultimo, terribile periodo. Faticava ad allineare i ricordi. Era un buco nero. Ho scoperto una bella persona. Mi ha raccontato tutta la storia della malattia, ma anche della sua famiglia. Ha 53 anni, è sposata con due figli, un ragazzo di 24 anni, e una ragazzina di 12. Era rimasta a casa per due settimane con la febbre, curandosi con la Tachipirina. Visto che la febbre non scendeva, aveva chiamato per due volte il 118. Dopo la seconda telefonata, era stata ricoverata a Cremona, al Maggiore, in un reparto Covid non intensivo. Le sue condizioni peggioravano. Era stata trasferita in rianimazione e intubata. I suoi ricordi si fermavano lì. Non poteva sapere che la terapia intensiva era alla saturazione, da dieci posti si era arrivati a sessanta, e che era stato deciso di trasferirla in Germania. Grozdana si era addormentata in ospedale a Cremona e si era risvegliata in Germania, fra persone sconosciute che parlavano in tedesco o in inglese e lei non capiva cosa dicessero. Si è raccapezzata un po’ quando è riuscita parlare con un nipote che vive a Milano”.

Come è stato il ritorno a casa?

“La sua famiglia era tutta sotto casa ad aspettarla. Gli abbracci tra loro sono stati una toccasana per me che, come tantissimi colleghi, vivo dal 20 febbraio la guerra Covid. Ho accompagnato una infinità di persone dalle loro case a ospedali spesso lontani. Vedere la loro paura e la loro solitudine è stata una delle cose più difficili. La storia a lieto fine di Grozdana è stata come un miracolo per il mio cuore e la mia testa”.

Vi siete riviste?

“Il mondo è piccolo. Grozdana è una cara amica di una mia ex compagna delle elementari. Ci siamo ripromesse una pizza insieme”.

Dott. Simone Gussoni

Fonte: Il Giorno

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