Fabio, Giovanni e Dana sono stati abbandonati dai colleghi, tutti in malattia, pur non avendo contratto l’infezione. “Con che faccia ci guarderanno negli occhi quando ci rivedremo?”, si domandano.
Ci sono un uomo e due donne, all’ospedale di Codogno, che meriterebbero una medaglia al valore civile. Perché resistono da giorni alla stanchezza, alla lontananza dalle famiglie e all’amarezza di sapersi abbandonati dai colleghi che avrebbero dovuto dargli il cambio. Si chiamano Fabio, Giovanna e Dana. Sono gli infermieri del reparto di Medicina, dove il “paziente uno” è stato ricoverato prima che si scoprisse positivo al coronavirus e dove nei giorni scorsi sono stati registrati almeno quattro casi di contagio.
Fabio, Giovanna e Dana sono entrati in servizio la sera del 20 febbraio, e da allora i colleghi dei turni successivi non si sono mai presentati a sostituirli. Non si parla di colleghi in quarantena, costretti a rimanere lontano dal reparto perché entrati in contatto diretto o indiretto con dei contagiati. Si tratta di persone che nei giorni del rischio contagio non avevano lavorato, e quindi erano certamente non infetti: non contagiati dal virus ma malati, stando ai certificati medici che hanno mandato per giustificare l’assenza.
L’intero turno che avrebbe dovuto prendere servizio la mattina del 21 – per dire – si è rifiutato in blocco di dare il cambio ai colleghi. Né quel mattino né dopo. E in questi giorni non è stato certo facile andare avanti in tre, giorno e notte, con una ventina di pazienti, senza riposare mai davvero né allontanarsi dal reparto per non rischiare contagi negli altri settori. Ogni tanto hanno dato una mano i colleghi della Riabilitazione, anche quella punto di passaggio del “paziente uno”, ma da mercoledì il reparto è chiuso, i pazienti trasferiti altrove, e quindi fine degli aiuti.
La situazione si è complicata ancora di più mercoledì mattina quando l’infermiere è finito in isolamento in day service, la zona degli ambulatori, perché aveva la febbre. Quindi sono rimaste Giovanna e Dana, sempre più stanche, aiutate da ieri mattina da un’operatrice socio-sanitaria e da una collega del Pronto soccorso (che è chiuso). Certo, per un reparto come Medicina servirebbero infermieri specifici, ma non c’è verso: tutte le chiamate di soccorso al personale infermieristico del settore sono rimaste inascoltate
E allora si è guardato altrove. Agli infermieri della Cardiologia riabilitativa, per esempio, che si sono rifiutati anche per non esporre al rischio di contagio il loro reparto, rimasto finora fuori dal caos coronavirus.
Nel cercare un rimedio, la direzione sanitaria ha perfino fatto un passo fuori norma, diciamo così: ha interrotto la quarantena degli infermieri del Pronto soccorso che avevano avuto a che fare con il “paziente uno”, ha chiesto che facessero il tampone e, se negativo, che tornassero a lavoro. Anche stavolta però niente: la caposala ha preteso un consulto con la Regione, e la Regione, consultata, ha rimandato tutti a casa a riprendere la quarantena. Risultato: da lunedì si sta cercando di tamponare la carenza con l’aiuto di una cooperativa esterna.
Fabio, Giovanna e Dana sono sfiniti. Si concedono poche ore di sonno, qualche telefonata a casa, ai figli. Nient’altro. Gli amici con i quali sono in contatto raccontano di tutta l’amarezza che sentono addosso quando pensano ai colleghi che non li hanno aiutati. “La condivisione avrebbe alleggerito fatica e paura – scrivono -, e invece ci hanno abbandonato, proprio loro che conoscono Medicina e sanno perfettamente cosa stiamo passando”. Non sono arrabbiati. Semmai delusi, e ogni tanto se lo chiedono tra loro: “Con che faccia ci guarderanno negli occhi quando ci rivedremo?”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Corriere della Sera
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