I soggetti con Covid-19 moderato o con fattori di rischio per malattia severa risiedono in una zona grigia tra la gestione ospedaliera e quella domiciliare. Una soluzione può arrivare dagli ambulatori hot spot.
Nell’autunno 2020, all’inizio della seconda ondata della pandemia, nascevano a Milano alcuni dei primissimi ambulatori hot spot Covid-19 in Italia: un luogo in cui i malati Covid a media intensità, i cosiddetti paucisintomatici, potevano precocemente ricevere assistenza specialistica e terapie specifiche, senza essere necessariamente ricoverati in ospedale.
Un anno dopo l’introduzione di questo servizio, i medici dell’ospedale San Raffaele hanno promosso uno studio, pubblicato su Frontiers in Medicine, in cui riportano l’esperienza preliminare di gestione ambulatoriale dei pazienti Covid attraverso un approccio innovativo di erogazione delle cure. Lo studio è stato coordinato dalla professoressa Patrizia Rovere-Querini, direttrice del programma strategico di Integrazione ospedale-territorio e responsabile dell’hot spot Covid-19 dell’Irccs Ospedale San Raffaele.
Gli autori hanno generato inoltre un metodo evidence-based di classificazione dei pazienti in gruppi di rischio di progressione di malattia, da poter fornire ai medici di medicina generale per identificare precocemente i pazienti che necessitano di valutazione urgente in pronto soccorso, ottimizzando così la gestione delle risorse.
“Il nostro obiettivo era quello di alleggerire il pronto soccorso e al tempo stesso rafforzare la medicina territoriale, duramente messa alla prova dalla pandemia – spiega Rovere-Querini –. Per questo abbiamo organizzato in pochi mesi un hot spot Covid-19 che fosse un luogo di incontro diretto tra medici ospedalieri e del territorio, che potevano condividere casi clinici complessi o segnalare pazienti nelle fasi iniziali della malattia, prima che l’aggravarsi del quadro clinico ne richiedesse l’invio in pronto soccorso”.
I pazienti con Covid-19 moderato o con fattori di rischio per malattia severa, infatti, risiedono in una zona grigia tra la gestione ospedaliera e quella domiciliare: non sempre i medici di medicina generale hanno gli strumenti per discriminare o gestire i pazienti che meritano un monitoraggio più attento e, d’altra parte, il ricovero al pronto soccorso può causare un sovraffollamento eccessivo e la saturazione dei letti d’ospedale.
“Una valutazione accurata del paziente in un contesto ambulatoriale ospedaliero da parte di medici esperti può colmare questa lacuna, consentendo una classificazione tempestiva del rischio e indirizzando il paziente verso le cure più adeguate – prosegue Rovere-Querini –. Una volta che la malattia è accertata tramite tampone nasofaringeo, abbiamo la possibilità di seguire i pazienti attraverso un percorso diagnostico e di valutazione clinica molto dettagliato per collaborare insieme ai medici di medicina generale nella gestione di questi pazienti, condividendo con loro tutti i passaggi diagnostici e terapeutici”.
Dopo la prima valutazione clinica (raccolta dettagliata dell’anamnesi, esame obiettivo completo, misurazione di parametri vitali e antropometrici) e i primi esami diagnostici (ecografia polmonare, elettrocardiogramma, esami ematochimici ed emogas-analisi arteriosa), i pazienti possono essere dimessi e reindirizzati alle cure del medico di base, essere indirizzati al pronto soccorso in caso di Covid-19 severo. Oppure essere inseriti in un programma di follow-up presso l’ambulatorio per ulteriori visite di monitoraggio. La sorveglianza attiva negli ambulatori Covid-19 prosegue poi fino alla stabilizzazione della malattia o alla completa guarigione.
Lo studio ha coinvolto 660 pazienti valutati tra il 1° ottobre 2020 e il 31 ottobre 2021. Di questi, 235 hanno effettuato due o più visite presso gli ambulatori. I pazienti sono stati inviati nell’ambulatorio per la maggior parte dai medici di medicina generale (70%), in minor misura dai medici di pronto soccorso (21%) o da altri specialisti ospedalieri (9%). Tra coloro che sono stati valutati nell’ambulatorio solo il 18% è stato indirizzato in pronto soccorso per Covid-19 severo necessitante ricovero ospedaliero, mentre il resto è stato gestito nello stesso ambulatorio e poi riaffidato al medico curante.
“Questa nuova modalità di cura, modellata sui bisogni del paziente, è stata un successo – conclude Rovere-Querini –. L’augurio è che tutto ciò che abbiamo imparato durante questa pandemia non si perda. Potrebbe infatti essere riutilizzato per il paziente cronico, che necessita di monitoraggi e cure continuative, spesso da parte di medici specialisti in collaborazione con i medici di medicina generale”.
Redazione Nurse Times
- Aumenti da oltre 7.000 euro per ministri e sottosegretari: e gli stipendi di infermieri, oss e operatori sanitari?
- Concorso per 640 infermieri in Veneto
- Concorso OSS in Campania: 1274 posti Disponibili! Al via le domande
- Amiloidosi cardiaca: atteso nel 2026 nuovo farmaco che spegne il gene chiave della malattia
- Specializzazioni sanitarie: arrivano le borse di studio, ma gli infermieri restano esclusi
Lascia un commento