Si tratta di autentici “invisibili”, ma anche loro hanno diritto a ricevere il siero anti-Covid. Rilanciamo l’approfondimento di Avvenire.
Migranti da vaccinare: un’emergenza umanitaria e sanitaria nello stesso tempo. Sarebbero circa 500mila in Italia le persone senza permesso di soggiorno, la maggior parte delle quali prive anche di un documento d’identità, che non possono prenotarsi per ottenere il trattamento anti-Covid (operazione per la quale serve il codice fiscale alfanumerico). E a questi vanno aggiunti gli 80mila richiedenti asilo in attesa di risposta.
Invisibili, anche dal punto di vista amministrativo. Soggetti fragili che, non potendosi considerare “stabilmente presenti” nel nostro Paese (come precisato sul sito Aifa alla voce “procedure di vaccinazione”), non hanno diritto al tesserino sanitario nè ad avere un medico di base, e non rientrano, almeno per il momento, nella categoria dei vaccinandi. Nel frattempo la loro presenza sul territorio nazionale impedisce però il pieno controllo epidemiologico della popolazione. Essendo esposti al contagio, rappresentano infatti un rischio per sè, perché si possono ammalare, e per gli altri.
C’è poi il risvolto giuridico della questione: la salute è un diritto fondamentale dell’individuo, garantito dalla nostra Costituzione (articolo 32) a tutti coloro che vivono sul territorio, anche se in via temporanea. Restano dunque invisibili, gli immigrati, anche se affidati a centri di accoglienza che se ne fanno carico per tutte le altre necessità, comprese quelle sanitarie. E si tratta di una categoria finora dimenticata pure dal commissario straordinario per l’emergenza Covid, Francesco Paolo Figliuolo, che non ne fa cenno nemmeno nell’ultima ordinanza per l’esecuzione del piano strategico vaccinale elaborato dal ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità.
Ma è probabile che questa fascia debole sia considerata appena saranno ultimate le fasi già programmate. Perché non c’è dubbio che anche gli immigrati hanno il diritto di curarsi, e quindi di essere vaccinati, come previsto dall’articolo 35 del Testo unico che disciplina l’immigrazione: “Ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici e accreditati, le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia e infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva”.
A lanciare l’allarme e ad avanzare proposte su questa “emergenza nell’emergenza” è la Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm), che sul proprio sito web, con un articolo firmato da Emanuela Petrona Baviera, chiede “che la piattaforma nazionale di registrazione dei vaccini venga prontamente aggiornata in modo tale da permettere di default l’inclusione dei pazienti senza codice fiscale secondo le stesse sequenze di priorità clinica della popolazione italiana”.
Il Simm chiede inoltre “indicazioni precise, nazionali, che guidino le sanità locali, giuste modalità e le scadenze temporali per adeguarsi in maniera tempestiva e uniforme su tutto il territorio al piano delle necessità pratiche, che sia prevista tecnicamente una maggiore flessibilità riguardo alla residenza o alle documentazioni in possesso degli utenti, onde evitare che farragini burocratiche vanifichino la necessità di dare urgente risposta a questa istanza di salute pubblica globale e comunitaria”.
A sollevare la questione, nel febbraio scorso, erano state anche le associazioni che aderiscono al Tavolo immigrazione salute (Tis), con una lettera al ministro Roberto Speranza. «Abbiamo fatto un calcolo – precisa Salvatore Geraci, responsabile sanitario della Caritas di Roma – di quante possano essere le persone, nell’ambito della “fragilità sociale”, che rischiano di essere escluse se non si attivano iniziative e percorsi adeguati. In Italia sono circa 500mila gli immigrati senza permesso di soggiorno, alcuni dei quali senza documenti o non riconosciuti dal nostro ordinamento. Anche se possono avere il codice Stp (Straniero temporaneamente presente), dato loro per l’accesso alla sanità, e per i comunitari non in regola amministrativamente, difficilissimi da quantificare, ma diverse decine di migliaia, la tessera Eni (Europeo non iscritto, non garantita da tutte le Regioni). Ma ci sono anche gli stranieri, poco più di 200mila, che hanno fatto domanda di regolarizzazione e che, nella stragrande maggioranza dei casi, ancora non è stata esaminata. Queste persone si trovano in un “limbo amministrativo”: non più irregolari, ma non ancora riconosciuti».
Prosegue Geraci: «Ci sono immigrati accolti in strutture e spesso ancora in fase di esame della loro posizione amministrativa o con difficoltà di inserimento sociale. Sono circa 78mila (67% in centri d’accoglienza straordinari, Cas). Hanno diritto all’iscrizione al Sistema sanitario nazionale, ma soprattutto nei Cas i percorsi amministrativi sono incerti e frammentati. E poi ci sono i minori stranieri non accompagnati, le persone vittime di tratta, accolte in specifiche strutture. E ancora molti rom, sinti e caminanti che vivono in campi di fortuna. E non vanno dimenticati i senza dimora, anche italiani, che popolano spesso angoli anonimi delle grandi città».
Una platea ampia, che trova soprattutto nelle metropoli le situazioni di maggiore disagio. «In base a un monitoraggio della prefettura di Milano che si riferisce al 22 aprile scorso – afferma Laura Rancilio, responsabile dell’Area dipendenze di Caritas Ambrosiana – risulta che, su 24mila domande presentate con procedura di emersione nell’area metropolitana del capoluogo, sono state rilasciate solo 6.776 nuove tessere sanitarie, a cui se ne aggiungono altre 465 in via provvisoria, con codice fiscale solo numerico, quindi non utile per accedere al portale per la prenotazione del turno di vaccinazione». Tre quarti dei richiedenti rimangono quindi “sconosciuti” anche per l’anagrafe sanitaria. «Bisogna avere la consapevolezza che vaccinare tutte queste persone è un bene non solo per loro, ma per l’intera collettività», conclude Rancilio.
Redazione Nurse Times
Fonte: Avvenire
Lascia un commento